Mafia e videogiochi: non delinquenza ma cultura
Un giorno qualunque d’agosto 2020, sono stato contattato da Luca Federici: Juris Doctor laureatosi all’università di Urbino, autore del libro Mafia e Mafie: Cosa Nostra e la dote vincente e grande appassionato di videogiochi.
Mi è stato chiesto se fossi interessato a leggere (cito lui testualmente) “un’analisi oggi rara, quella della mafia tratta nel videogioco da una prospettiva diversa. Ovverosia se il medium si può dire pronto, intellettualmente, nel parlare di questa tematica e se mai possa un giorno essere impiegato, perché no, nelle scuole a mezzo di insegnamento anche per veicolare un messaggio importante com’è appunto la cultura della lotta alla mafia. Ho fatto questo scrivendo diffusamente dei primi 3 capitolo di Mafia”.
Quel Mafia: The City of Lost Heaven che dà il via ad una trilogia di videogiochi dalle sorti alterne ma a me, sempre e comunque, molto gradita, anche nella sua terza iterazione.

Superata la sorpresa iniziale gli ho chiesto qual buon vento lo portasse a contattare La Decima Arte e non altri lidi, la sua risposta mi ha sorpreso quanto la sua e-mail di contatto e la riporto testualmente: “Mi sono rivolto a La Decima Arte – Art Last Frontier in primis per il nomen: già rappresenta qualcosa cui credo, ossia intendere il videogioco al di là del business, al di là dell’intrattenimento e cioè come qualcosa in più. Certo essendo tutto quello ma pure fenomenale strumento comunicazionale, informazionale, culturale, intellettuale e, perché no, artistico”.
Ce n’era già abbastanza per capire che si sono incontrati due appassionati videogiocatori, che hanno apprezzato la trilogia di Mafia oltre ai meri aspetti ludici/tecnici. Mi sono subito immerso nella lettura del capitolo dedicato alla trilogia dei videogiochi 2K Games, sviluppata da Illusion Softworks poi divenuta 2K Czech ed infine Hangar 13: ventitré pagine di intensa ed appassionata disanima, entrando nella storia, nelle scene cruciali, nelle citazioni di Mafia: The City of Lost Heaven, Mafia 2 e Mafia 3.
Mafia e Mafie: Cosa Nostra e la dote vincente, non è un libro per tutti. Si comprende subito che si tratti di un libro scritto da chi ha un bagaglio culturale, conoscenza, competenza, studio e una memoria del tutto eccezionali. Leggere della trilogia di Mafia dal punto di vista di un Dottore della Legge che ne coglie – oltre alla prevedibili citazioni cinematografiche – anche quelle tratte dalla vita vera, dagli anni di piombo da noi italiani vissuti sulla nostra pelle, oltre a emozionare spinge a riflettere.
Il Dr. Federici si cimenta di una sinossi della trama dei tre videogiochi griffati Mafia. Parte dall’ultimo uscito e risale fino a quello datato 2002, si sofferma su alcuni episodi (magari ignorati dal videogiocatore medio e includo anche me stesso) oppure cita testualmente alcune battute affidate agli interpreti. A quegli “attori” che invece di carne ed ossa si mostrano in poligoni e textures che a loro volta citano i veri collaboratori di giustizia, i veri pentiti mafiosi.
Un esempio, tratto da Mafia 3: “non che volessi tenerlo segreto, è solo che non è venuto nessuno a fare domande”. Una frase apparentemente innocua, tratta da un videogioco (o da un film), eppure mi ha restituito un grande turbamento apprendere dall’autore che, nei veri processi ai mafiosi, nella realtà, di fronte ai magistrati, siano state dette praticamente le stesse frasi che si sentono dire nei videogiochi.
Dall’analisi di Mafia 2 e della sua storia, emerge che gli autori volessero mostrare due facce della stessa medaglia che è la Mafia: quella legata ad un’antica concezione di uomini d’onore e quella trainata da gente senza scrupoli, che dell’onore non sa cosa farsene, perché il fine giustifica i mezzi. Un tema già visto nei film de Il Padrino, dove si scontrano le ideologie dei più anziani, contrari al traffico degli stupefacenti. Anche qui: leggere dei parallelismi con la vera storia di Cosa Nostra, che attuava scene del tutto simili a quelle che ho giocato, mi ha fatto venire la pelle d’oca, ancora una volta nel giro di poche pagine sono stato spinto alla riflessione.
La terza parte del capitolo dedicato ai videogiochi di Mafia presenta un esame così particolare di Mafia: The City of Lost Heaven che mai, in tutta la mia vita, ho avuto occasione di leggere e apprendere. Affermare che non giocherò mai più questo titolo con gli stessi occhi è eufemistico. E non ti nascondo che la voglia di rispolverarlo, grazie anche al remake di prossima uscita, è aumentata esponenzialmente. Spero che nel percorso di rifacimento non sia stato snaturato il nucleo pulsante del gioco: la storia, secondo me impareggiabile (e dello stesso avviso mi sembra il Dr. Federici).
Mafia: The City of Lost Heaven è, senza alcun dubbio da parte mia, il vero ed insuperato capolavoro di quello studio di sviluppo che ha consegnato alla storia la trilogia di Mafia. Come tutti gli altri titoli dopo di lui, non è un banale videogioco di gangsters, bande rivali, satira e parodia politica/economica/sociale (GTA è praticamente questo).
E’ quello che suggerisce il buon Luca (mi permetto di chiamarlo per nome solo adesso e solo in virtù della passione che ci accomuna): Mafia: The City of Lost Heaven è uno di quei videogiochi talmente rari e ben fatti che, insieme a quelli che sono i suoi seguiti, potrebbero tranquillamente essere proposti nelle scuole per veicolare un messaggio di cultura, analisi, presa di coscienza, consapevolezza.
In Polonia, il ministero dell’istruzione ha proposto, per la prima volta nella storia del nostro intrattenimento preferito, un videogioco come libro consigliato. In Italia si sprecano interrogazioni parlamentari per denunciare come “associazione a delinquere” i videogiochi che parlano di Mafia. Non entro nel merito e non commento la disparità culturale tra coloro che governano qui e coloro che governano all’estero, perché mi sembra abbastanza evidente.
Non aggiungo altro dal mio sacco di farina, lascio che questo articolo venga concluso dalle parole utilizzate dal Dr. Federici per chiudere il capitolo dedicato a Mafia e videogiochi.
A conclusione, il perché di questo capitolo avanguardista: esso venne steso in tempi non sospetti ma, dopo gli incontri sulla legalità realizzati nelle scuole, lo scrivente si convinse ancor più di come e di quanto i mezzi tradizionalmente impiegati per parlare ai giovanissimi su queste tematiche fossero vetusti e semplicemente da loro non utilizzati. Proprio quest’esigenza di narrare alle nuove generazioni su un tema imprescindibile com’è la lotta alla mafia e alla di sua cultura, si è reputato necessario impiegare anche il linguaggio della videoludica. Riconoscendo al medium la dignità che gli appartiene e impiegandolo per veicolare il più giusto significante, in grado di spiegare la complessità. Ne va del nostro futuro.
«I videogiochi possono essere anche un metodo formidabile di apprendimento per la didattica scolastica del futuro, che è completamente non sincronizzata con il profilo cognitivo dei nostri figli.
Questo non ci deve spaventare, perché è un’evoluzione e non un problema» [F. TONIONI, psichiatra e psicoterapeuta nonché direttore del Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, Radio Popolare, 2020].
Categorie
One thought on “Mafia e videogiochi: non delinquenza ma cultura” Lascia un commento ›