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Gaming Disorder, i miei due cents

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Sono stato caldamente invitato ad esprimere la mia opinione riguardo al polverone che è stato sollevato, nel corso degli scorsi giorni, riguardo all’aggiornamento della classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati.

Mi sono documentato poco, lo ammetto onestamente. Ho compreso che tale classificazione è effettuata regolarmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e ora è in arrivo nella sua undicesima declinazione, al momento in fase di bozza preliminare e ancora da approvare. In passato si era proposto di inserire, in questo documento, la “malattia” dell’omosessualità e la sindrome pre-mestruale. Al di là di ogni ragionevole dubbio è, in buona sostanza, un documento di vitale importanza, spesso consultato da compagnie assicuratrici ed organi preposti al rilascio di certificati aventi valore medico e legale. E’ di aiuto anche ad un medico che vuole trovare il nome giusto ad una malattia o a un problema che gli appare nuovo o di difficile definizione.

E’ saltato agli oneri della cronaca perché, finalmente, si include il cosiddetto Gaming Disorder tra i disturbi che portano le persone a trascurare vita, igiene, famiglia, lavoro, fino a mettersi, loro malgrado, in situazioni a rischio per la salute. E ovviamente non sono mancate le polemiche e le estremizzazioni di chi va sbraitando “ecco, lo sapevo, ora ci prendono per malati mentali tutti quanti”.

Personalmente non vedo tutta questa tragedia nel fatto di indicare un disturbo simile in un documento così importante. Lo vedo del tutto simile al disturbo di ludopatia per cui chi ci casca trova indispensabile giocare d’azzardo, fare scommesse, intrattenersi oltre modo in lotterie istantanee e quant’altro. Cosa ne penso io, di tutta questa storia, è estremamente insignificante ma anche semplice e lo scriverò in prima persona singolare, cioè rivolto a me stesso perché non sono qui per pontificare ma per esprimere mie considerazioni personali.

  • Come ogni cosa che mi riguarda in questa vita: è la dose che fa il veleno. Questa frase, attribuita a Paracelso, non la dimentico mai. Niente, nella giusta misura, goduto con equilibrio, porta ad effetti indesiderati o spiacevoli. Niente che non sia per natura nocivo o tossico, perché in quel caso farebbe male in qualunque misura ne dispongo. Da quelle cose mi tengo alla larga di base.
  • Per la mia personale e modesta esperienza indiretta (cioè non l’ho vissuto sulla mia pelle ma l’ho visto accadere a persone anche vicino a me) sono estremamente convinto che i disordini gravi (e gravissimi) legati alla ludopatia e/o al disordine da gaming siano dovuti ad un’eccessiva sensibilità di chi ne fruisce. Queste persone non hanno nulla di innaturale in sé, nessuno di noi videogiocatori o scommettitori folli è un malato mentale. Ci sono, però, certuni che non riescono a smettere quando vogliono oppure si distraggono troppo, da troppe cose.
  • Quando perdo di vista genitori, parenti stretti, amici, studio, lavoro, amore, igiene e salute personali; quando preferisco rintanarmi in un videogioco per evitare quelli che si etichettano come “problemi” allora lì bisogna ammettere che c’è qualcosa che non va. Questa affermazione la scrive una persona solitaria, molto introversa, abbastanza riservata. Questo non significa che io sia un misantropo, un sociopatico e una spia dei servizi segreti.
  • Non mi sento un malato di mente. Non deve sentirsi un malato un bambino, un ragazzino, un ragazzo, un adulto che si sente ammonito dal proprio genitore, tutore, parente, compagno perché gioca in maniera intensiva e/o quotidiana ai videogiochi. Non si deve saltare a conclusioni affrettate e temere o etichettare il proprio figlio/compagno come un “malato di mente”.
  • Non tutti i videogiochi sono da condannare. Quelli che recensisco su queste pagine, per esempio, non hanno nulla di scientificamente dimostrato, che producano dipendenze patologiche. Potrebbe venire il sospetto che i videogiochi fortemente competitivi come Dota 2, League of Legends e StarCraft possano fare ammalare i giocatori ma, in realtà, quella malattia si chiama “spirito da competizione” e ne “soffrono” anche i più brillanti calciatori o esponenti di discipline sportive varie ed eventuali.
  • Esistono alcuni videogiochi, e definirli tali a volte sembra forzato, che usano ed abusano di tecniche tipiche delle lotterie, delle slot machine e dei giochi d’azzardo e su questi occorre fare la massima attenzione.

Non voglio dilungarmi oltre. Più allungo questo editoriale e più mi espongo a possibilità di errore, più di quanto abbia già fatto fino ad ora. Ribadisco che tutto questo sia una riflessione assolutamente personale e non ho intenzione di fare il professore/dottore di turno: non ne ho nemmeno il titolo.

Ho un passatempo grandioso, quello del videogioco e del videogiocare. Può diventare una passione, può diventare un lavoro (esistono i professionisti, i Pro-Players, no?) ma occorre che io non perda il contatto con la realtà che mi circorda. Siamo giocatori, sono un giocatore perché sono libero di impersonare tanti ruoli diversi. Non dovrei, non vorrei mai ritrovarmi schiavo di quello che mi piace fare di più nel mio tempo libero. Basta poco, pochissima attenzione e accortezza. Basta non dire mai di “no” a chi ci invita ad uscire dalla stanza, o da casa, tanto per fare un piccolo esempio.

Io mi immagino a videogiocare fino al giorno della mia morte. Ma di certo immagino anche di godere della compagnia della mia famiglia, della persona che amo, dei miei amici e vorrei che tutti gli appassionati possano farlo. Sapere distinguere le vanità dalle cose e dalle persone non vane è un dono che non voglio perdere. Se lo perdessi o non lo avessi, vorrei apprenderlo per non far soffrire me stesso né coloro che mi vogliono bene.

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