The Last of Us
Cosa poter dire, a distanza di tempo dalla pubblicazione, di uno dei videogiochi più apprezzati, giocati ed incensati di questo ultimo scorcio di generazione videoludica? The Last of Us è già stato portato a termine – almeno una volta – da quasi tutti coloro che lo hanno acquistato e girovagando per il web è possibile trovare miliardi di parole spese a riguardo, senza contare gli ormai famosi video pubblicati, per la maggior parte su You Tube, da sedicenti esperti, da opinionisti e da professionisti del settore. The Last of Us, avventura, sparatutto e stealth game in terza persona, nonché ultimo sforzo creativo sfornato da Naughty Dog, gli stessi ragazzi che hanno realizzato la trilogia di Uncharted mostrando al mondo di cosa fosse capace la PlayStation 3 a livello hardware, mettendo a tacere i sospetti di inferiorità rispetto alla concorrenza. The Last of Us, che in meno di un mese ha collezionato tanti di quei votoni da fare impallidire mostri sacri e campioni di riconoscimenti del passato più o meno recente.
Pandemia da Cordyceps
Se foste tra i quelli che non hanno idea di cosa narra The Last of Us, vi basta sapere che – secondo gli sceneggiatori di Naughty Dog – in un vicino futuro l’umanità viene a contatto con un’arma batteriologica evoluta dagli studi militari fatti su un fungo dalle capacità terribili, che si chiama Cordyceps. Questo fungo esiste realmente in natura, ma appare innocuo per gli esseri umani, letale invece per gli insetti: in pratica le spore avvelenano l’ospite e ne assumono il controllo.
Nel videogioco prodotto da Sony Computer Entertainment, invece il Cordyceps viene rilasciato nell’atmosfera e diffonde una pandemia che porta l’umanità, nel giro di pochi lustri, sull’orlo dell’estinzione. L’infezione da Cordyceps si innesca dopo un periodo di incubazione di 48 ore circa: l’infetto perde il lume della ragione e diviene una creatura assetata di sangue che i sopravvissuti chiamano Runner. Se sopravvivono troppo a lungo, questi Runner si appartano per qualche tempo e sono soggetti alla proliferazione del fungo che gli cresce su tutto il corpo, specie sulla testa, fino a renderli totalmente ciechi ma non sordi. La nuova mostruosità che si rialza in questo nuovo stato di infezione non è più un Runner ma un terribile Clicker. Li chiamano così perché, essendo incapaci di vedere, si affidano ad una specie di sonar per individuare le prede, e questo sonar funziona tramite un inquietante rumore che ricorda un ticchettio o – per l’appunto – un “click”. Lenti e ciechi, ma dall’udito sopraffino e dotati di una forza sovrumana, i Clicker sono il vero volto della paura, la morte che arriva e non lascia quasi via di scampo, in The Last of Us.
A noi giocatori è affidato il ruolo di Joel, un uomo di mezza età che vive da spettatore il dramma dell’infezione appena scatenata e la degenerazione dell’umanità, i valori della quale vengono trasformati radicalmente dalla guerra per la sopravvivenza causata dall’apocalittica malattia. Per sopravvivere nel “nuovo mondo”, Joel diventa un contrabbandiere e vive in combutta con Tess, una donna tutta d’un pezzo con la quale si trova in sintonia professionale. La catena di eventi che porta ai titoli di coda viene innescata da una missione di massima importanza: “contrabbandare” una ragazzina di nome Ellie. Ci sarebbe molto altro da dire, ma evito accuratamente di entrare nel dettaglio.
Joel
L’alter-ego di noi giocatori per la quasi totalità della storia. Cinquant’anni suonati e non sentirli, forte ed atletico: Joel è il prototipo di sopravvissuto ideale, uno di quelli che la pandemia l’ha vista nascere, ha assistito all’infernale dilagare dell’infezione, è uno di quelli che ha visto più “trasformati” in vita e di quelli che di fronte alle avversità trova sempre la forza di andare avanti.
Cinico ed insensibile quando serve, orgoglioso sostenitore del detto “mors tua vita mea”, contrabbandiere di professione e spietato killer addestrato all’uso di armi da fuoco e tattiche di infiltrazione.
L’eclettismo di Joel va a soddisfare tutti i tipi di videogiocatori che si approcciano a The Last of Us. Ogni sezione di gioco che preveda l’incontro o lo scontro con avversari (infetti, soldati o cacciatori sopravvissuti) può essere affrontato almeno in due modi. Il primo modo è quello più lento, ragionato e per usare un termine tecnico: stealth.
In questo caso Joel si acquatta, cammina lentamente e a passo felpato, aggira e colpisce alle spalle. Per non allertare gli altri nemici, dopo aver afferrato alle spalle il malcapitato, può strangolarlo oppure sgozzarlo (ammesso che si abbia a portata di mano un coltello).
Questo approccio mi ha ricordato moltissimo quello vissuto nei vari Splinter Cell, Convinction soprattutto, e la sensazione di “deja-vu” l’ho sentita più intensa quando ho usato “l’udito da cacciatore” di Joel che – similmente ad un Clicker – attiva una specie di sonar che permette di ascoltare (nonché vedere) l’esatta posizione dei nemici a portata di orecchio, anche attraverso pareti e dislivelli.
Anche se in partenza tutto ciò porta notevoli vantaggi e superiorità sul campo, il buon lavoro (non eccelso) sull’intelligenza artificiale rende la sfida sempre all’altezza.
Il secondo modo di affrontare i gruppi di nemici è quello meno discreto e più fracassone. Joel può sfidare tutti armi in pugno e – non potendo sprecare molte munizioni – armi da mischia. Negli scontri a fuoco si apprezza l’ottimo risultato raggiunto per restituire la giusta sensazione di impugnare l’arma.
Perché The Last of Us, come avremo modo di approfondire più avanti, è parecchio fisico e raramente ci è capitato di “avvertire” la pesantezza di una bocca di fuoco come quella di un Revolver, differentemente alla leggerezza di una Beretta con pallottole da 9 millimetri (giusto per fare un esempio ed un paragone) in altri giochi simili.
Nel corso delle sue avventure, esplorando minuziosamente le zone in cui va ad agire, Joel può trovare due tipi di oggetti: attrezzi da lavoro oppure cianfrusaglie che, messe insieme, consentono di forgiare alcuni oggetti molto utili per la sopravvivenza. Dall’unione di zucchero, farina, bendaggi, alcol e lame arrugginite, infatti, Joel può ricavare kit di pronto soccorso, bombe artigianali, molotov, bombe fumogene, coltelli.
L’esplorazione, inoltre, viene premiata dal ritrovamento di “stimolanti” che migliorano le capacità di sopravvivenza di Joel. Spendere questi stimolanti significa aumentare la barra di energia del protagonista, incrementarne l’efficacia e la velocità quando crea oggetti, migliorarne l’udito o le capacità di combattimento.
In (poche) certe parti del gioco, ci imbattiamo in tavoli da lavoro dove impiegare gli attrezzi e le cianfrusaglie raccolte nel miglioramento della dotazione di armi. Aumentare le capacità del caricatore, il rateo di fuoco, la stabilità delle armi o l’efficacia dell’arco può rappresentare la differenza fra un’avventura affrontata nel migliore dei modi ed una autentica lotta impari alla sopravvivenza, che metterebbe alle strette anche il più navigato dei “Bear Grills da joypad”.
Ellie
La teenager più chiacchierata dai videogiocatori, co-protagonista di The Last of Us, si chiama Ellie ed accompagna Joel nelle sue avventure. Resto volontariamente vago, per non rovinare il piacere della scoperta a nessuno di quelli che ancora non hanno portato a termine questo videogioco (che ci crediate oppure no, esistono, fatevene una ragione!).
Caratterialmente molto forte, intelligente, a suo modo carismatica, credo di non sbagliare con il dire che “la si ama oppure la si odia”. Come ogni teenager della sua età, appare più matura di quanto l’anagrafe sostiene e – a differenza di Joel – lei, nel mondo post-pandemico, c’è nata e cresciuta con tutte le conseguenze caratteriali che questo comporta. Ellie ci segue passo passo, si nasconde quando lo facciamo noi, oppure viene in nostro soccorso quando indugiamo – volutamente oppure no – cercando di farci imbeccare la direzione giusta con commenti mai fuori posto.
Più in là nel gioco si rende utile avvertendoci di imminenti pericoli alle nostre spalle oppure usando i mattoni in uno dei modi descritti più sopra: lanciandoli in testa ai nostri avversari, stordendoli, per darci preziosi secondi di tempo per abbatterli. Ci sorprenderà in più di un’occasione, ma anche solo accennare a queste “sorprese” mi sembra un sacrilegio, quindi mi fermo e spero che possiate essere sorpresi quanto me quando giocherete.
Quel che mi ha convinto poco e che ha infranto la sensazione di essere “dentro al gioco” è stato scoprire che Ellie (come Tess) non viene vista dai nemici, come se fosse invisibile. Immaginate la scena: noi-Joel nascosti dietro una porta, in snervante attesa che il malcapitato di turno svolti l’angolo per afferrarlo alle spalle. Ellie, con disarmante disinvoltura, si “nasconde” dal lato sbagliato della porta, cioè in perfetta e piena vista dell’avversario.
Quest’ultimo, con altrettanta inverosimile disinvoltura, non si avvede di Ellie e prosegue nella sua ronda, come se la ragazza fosse invisibile o non esistesse nemmeno. Chiaramente è una scelta degli sviluppatori per non rendere il gioco eccessivamente difficile, consapevoli che sarebbe stato impossibile arrivare a gestire l’intelligenza artificiale di Ellie a tal punto di definizione, ma è tuttavia un elemento di rottura della magia di gioco, che deve essere evidenziato.
I ferri del mestiere
Joel può fare affidamento su sette tipi di armi, arrivando ad un totale di ventidue strumenti di offesa. Le armi si dividono in: armi da fuoco a due mani, armi da fuoco ad una mano, armi bianche, armi contundenti, esplosivi, arco e oggetti che si possono lanciare.
Questi ultimi sono disponibili praticamente da subito e si scovano per tutto il gioco: sono mattoni e bottiglie di vetro, che possiamo utilizzare in tre modi diversi. Il primo è quello di lanciarli in una direzione, provocandone la frantumazione ed un rumore che distraggono i nemici, così da sorprenderli alle spalle. Il secondo è quello di lanciarli in testa ad un malcapitato per stordirlo quel paio di secondi prezioso per raggiungerlo e finirlo con un colpo d’arma bianca o altro.
Il terzo modo è quello di arrivare in corpo a corpo ed usare mattone o bottiglia come arma impropria, infliggendo notevoli danni da impatto.
Tra le armi da fuoco da usare a due mani trovano spazio: fucile da caccia, fucile a pompa, fucile d’assalto e lanciafiamme. Le pistole sono rappresentate dai già citati revolver e beretta 9mm, ma anche da “Shorty”, che è una pistola potente quanto un fucile a pompa, e da “El Diablo”, una potentissima pistola di precisione, letale quanto un fucile da cecchino. Le armi bianche di dividono in machete, ascia, coltello di fortuna e pugnale. Quelle contundenti sono: bastoni, mazze da baseball e tubi di ferro.
Queste possono essere modificate e rese ancora più letali dalla presenza di un paio di lame che garantiscono l’uccisione con un colpo solo dei nemici a portata. I già citati esplosivi sono le granate artigianali a frammentazione, le bombe molotov e le bombe fumogene.
Fazioni
Le modalità di gioco sono due: Caccia ai Rifornimenti e Sopravvivenza. Si tratta di modalità apparentemente simili tra loro (sempre di team deathmatch 4 contro 4 si tratta) ma con sostanziali differenze. In Sopravvivenza non esiste respawn, cioè se veniamo uccisi non torniamo a combattere e dobbiamo attendere la fine della partita. In Caccia ai Rifornimenti il respawn c’è ma in numero limitato.
Unitamente al fatto che bastano due o tre colpi d’arma da fuoco per essere abbattuti, l’adrenalina e la tensione innescate dalle sessioni di gioco sono impareggiabili, così come dovrebbe essere la cooperazione tra giocatori della stessa fazione (cosa che, talvolta, specie tra sconosciuti, viene a mancare).
Tutto fa pensare che non sia una mera modalità accessoria: gli sviluppatori hanno speso tempo ed energie, si vede. Più si gioca e più si viene premiati a livello di personalizzazione del personaggio. A lungo andare, l’esperienza maturata dalle sessioni online diventa il vero punto di differenziazione tra un giocatore alle prime armi ed uno che – a questa modalità – si dedica costantemente.
Le armi sono abbastanza bilanciate, pur trovando delle classi predefinite classiche (assaltatore e supporto, giusto per citarne un paio) si può personalizzare l’equipaggiamento del personaggio e la parte estetica, venendo incontro ai gusti di tutti. Sfido comunque la maggior parte di voi a trovarla “interessante” oppure “assuefante”, oppure “originale” rispetto a quanto già offerto da altre produzioni del passato più o meno recente o al confronto con la bellissima storia narrata nella modalità solitaria.
Per quanto bella, curata e ben congegnata, la modalità multigiocatore di The Last of Us è pur sempre dedicata a coloro che vivono principalmente per questi aspetti di intrattenimento competitivo e cooperativo. Chi, come me, apprezza di più l’esperienza in singolo, non può far altro che riconoscere la bontà di questa modalità, senza per questo incensarla.
Il canto del cigno di PlayStation 3?
Tecnicamente parlando, The Last of Us risulta essere la produzione di maggior pregio disponibile su PlayStation 3. Pur non vantando un impatto iniziale stratosferico, come quelli portati in auge da un Killzone 3 oppure da un Uncharted 3, The Last of Us mira – piuttosto – a farsi sfogliare come un libro, arricchendosi pagina dopo pagina fino a raggiungere picchi di qualità estremamente elevati che spingono a soffermarsi per ammirare la bellezza di certi paesaggi.
A parte questi, si potrebbe indugiare ammirando il lavoro svolto sui modelli dei personaggi: a me è capitato, per esempio, di stare a rimirare il cadavere di uno di quei Clicker che si appartano per spegnersi e rilasciare che le spore contaminino l’aria, come se fossi in un museo di sculture strane. Pollice in su anche sul fronte animazioni e fisica applicata ai personaggi: le ciocche di capelli che ondeggiano realisticamente, le pieghe e i drappeggi sui vestiti, i movimenti delle mani, le movenze in genere e le impressionanti espressioni facciali: tutto lascia intendere che Naughty Dog abbia davvero espresso tutto il potenziale della PlayStation 3, lasciando davvero poco spazio (credo nessuno) a margini di miglioramento sul fronte grafico.
A proposito di fisica, tengo ad evidenziare quanto siano brutali e verisimili gli scontri con infetti e umani. Joel può sparare, picchiare o – se abbastanza vicino ad un elemento dello scenario – far schiantare la faccia del nemico di turno, oppure prenderla a pestoni. La sensazione di essere al fianco di Joel e di vedere i reali effetti che una lama, una pallottola o anche solo uno schianto contro uno spigolo o un muro hanno è tremendamente realistica.
Quello che mi ha impressionato più di ogni altra cosa, di questo gioco, sono stati gli effetti di illuminazione (che dalla prova della demo mi avevano un po’ deluso) e gli effetti sonori: credo di aver assistito a quanto di meglio di possa chiedere dall’hardware delle console attuali e non penso che vi siano possibilità di battere Naughty Dog in questo ultimo scorcio di PlayStation 3.
Gli effetti sonori, più delle musiche, mi hanno colpito positivamente, e chi ha la fortuna di vivere i videogiochi con un bell’impianto audio lo apprenderà sulla propria pelle. Tra inquietanti “click” degli infetti, il respiro ansimante di Joel o di Ellie, rumori di sottofondo, versi mostruosi, colpi d’arma bianca e colpi d’arma da fuoco, la pelle d’oca e il naso arricciato in conseguenza di certe scene sono quasi assicurati.
Anche il doppiaggio risulta convincente, anche se occorre dare a Cesare quel che è di Cesare. Gli interpreti italiani hanno lavorato grandiosamente e hanno dato ai personaggi – tutto sommato – un loro spessore. Ma il confronto con i professionisti che hanno lavorato in lingua originale (l’inglese) risulta impietoso e mi accodo ai colleghi che consigliano di godersi l’interpretazione di Troy Baker ed Ashley Johnson (interpreti di Joel ed Ellie) in tutto il loro splendore, perché risultano inarrivabili.
La colonna sonora è basata su arpeggi di chitarra o basso,affidata al maestro Gustavo Santaolalla che grazie al film “I Segreti di Brokeback Mountain” ha fatto man bassa di premi ed onorificenze, dagli Oscar al BAFTA. Al di là del curriculum del compositore, bisogna riconoscere che funziona tutto, dannatamente bene. Gli arpeggi sembrano scandire tanto le palpitazioni quanto il tempo con cui versare qualche lacrima, di fronte a certe scene.
Tutto questo mi porta ad affermare che – sul fronte sonoro – non ho mai sentito niente di meglio, pur tuttavia dovendo riconoscere che ci sono dei problemi a gestire l’audio in modalità “stereo”, con le casse del televisore, per intenderci. Chi non ha un impianto “Dolby Surround” potrebbe non convenire con me riguardo a tutte le parole spese, a causa della rottura della magia portata da improvvisi “muti” o battute di personaggi sotto tono.
La perfezione non esiste
Bello, anzi, bellissimo nel suo insieme, con una cura per i dettagli così certosina e disarmante che nessuno può restare indifferente. Avvalorato da una sceneggiatura, una regia ed una sapiente scelta dei tempi di “riposo” e “d’azione” che potrebbero soddisfare chiunque, senza dimenticare il lavoro svolto dagli interpreti.
Eppure, di fronte a tanta magnificenza, c’è qualcosa che non mi fa gridare al miracolo. Sarà l’intelligenza artificiale singhiozzante che, sul più bello, quando il cuore batte all’impazzata perché in attesa di passare all’azione, infrange quella sospensione, quel fiato sospeso perché Ellie è in piena vista ma nessuno se ne accorge. Sarà perché al di là della magistrale opera di scultura e fisica applicata ai personaggi principali e secondari, l’aliasing e l’effetto pop-up di alberi ed erba non mi ha lasciato indifferente.
Sarà perché, estratto dalla sua identità emozionale e cinematografica, The Last of Us è un gioco d’azione e avventura in terza persona, a base di particolari zombie e che ricorda Uncharted oppure Spliter Cell: Conviction, in dipendenza da come lo si affronta, ma da qui a poter affermare che è perfetto da ogni angolazione e non può essere battuto da nessuno, ci passa una legione di Clicker.
The Last of Us è un appuntamento irrinunciabile, un titolo che non può mancare alla collezione dei cultori del videogioco, di chi è alla ricerca di esponenti che possano fare ascendere questo mezzo di intrattenimento a vera e propria forma d’arte.
The Last of Us è certamente uno degli esponenti di punta, una perla rara ed un’esperienza assolutamente imperdibile, vale fino all’ultimo centesimo per cui viene venduto ma non è un gioco perfetto. I difetti, come ovunque, ci sono e non sono infinitesimali. Certo: di fronte ai metaforici pugni allo stomaco, alle lacrime, alle palpitazioni, al tornado di emozioni che è capace di sortire nel giocatore più empatico, i difetti passano in secondo piano, ma io sento il dovere di ricordarli e sono convintissimo che non sia il gioco perfetto che molti cercano di farci credere.
Chi compra la PlayStation 3 solo per Fifa 13, Pes 2013 e Gran Turismo 5, di certo non troverà alcuno stimolo nel giocare fino in fondo The Last of Us. Chi intende il divertimento con i videogiochi tramite sparatutto in prima persona, massive online games (Mmo) e poco altro, non riuscirà ad arrivare ai titoli di coda di The Last of Us e quasi certamente non si sentirà coinvolto in una storia post-apocalittica che strizza l’occhio a pellicole come The Road e Io sono Leggenda.
The Last of Us impone nuovi standard di qualità sul fronte di regia, cinematografia applicata ad un videogioco, sonoro ed animazioni, senza dimenticare l’encomiabile lavoro sui fondali e l’impressionante sforzo sul fronte illuminazione, che mi ha estasiato. E’ un gioco da avere ma ribadisco, ancora una volta, che non lo considero un gioco perfetto né il top di categoria (anche perché è talmente ibrido che non appartiene ad una categoria certa).
Impressiona a fondo, emoziona come pochi e chi lo apprezza non lo abbandona finché non arriva ai titoli di coda (e occorrono non meno di quindici ore, per farlo) ma da qui a poter affermare che sia imbattibile su tutti i fronti, ce ne passa: i margini di miglioramento ci sono, e ai miei occhi sono margini discretamente grandi.