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Metro Exodus

Metro Exodus, come Metro: Last Light e Metro 2033, che lo hanno preceduto, potrebbe erroneamente essere scambiato per un semplice sparatutto in prima persona a tinte horror. Tuttavia, la fatica di 4A Games pubblicata da Koch Media e Deep Silver, ha un’anima da gioco distopico, fantascientifico, d’avventura, esplorazione ed elementi survival e stealth, che lo rendono un titolo più unico che raro, nel panorama videoludico che tende a scopiazzare dai maggiori successi commerciali, osando poco sul fronte dell’originalità.

Giunto alla sua terza iterazione, Metro Exodus ci riporta nei panni di Artyom e prova a farci uscire fuori dalla tutt’altro che sicura metropolitana di Mosca post 2033, unico luogo sicuro dopo un inverno nucleare che ha spazzato via quasi tutta l’umanità.

Ci sarebbe da scrivere un libro, sulla trama di Metro Exodus e sui retroscena, ma ve lo risparmierò. A proposito di libri, per chi non lo sapesse, la serie dei giochi “Metro” trae ispirazione dai libri di Dimitrij Gluchovskij, giovane scrittore e giornalista russo che ha sempre affiancato gli sviluppatori per la stesura delle trame dei giochi (perché gli ultimi due non seguono quelle dei romanzi).

Tecnicamente parlando c’è ben poco da lamentarsi: le ambientazioni sono realizzate molto bene, i modelli dei personaggi sono di alta qualità, non mi ha esaltato l’espressività dei personaggi né il doppiaggio in italiano (buono, ma non buonissimo), ottimi gli effetti sonori e le musiche. I ritmi di gioco li ho trovati molto buoni e l’alternarsi di fasi lineari con quelle “open world” e discreta libertà non mi sono affatto dispiaciute. Anche i ritmi della trama sono un bel punto di forza, perché di tempi morti non riesco a coglierne davvero mai, e c’è sempre qualcosa che mi spinge a volerne sapere di più, a gettare il cuore oltre l’ostacolo, a mandare avanti ancora un po’ i fili di un intreccio che – pur non volendo essere chissà quanto complesso ed imprevedibile – mi tiene incollato alla sedia.

La deriva open world data dagli sviluppatori non è da bocciare, anzi, ha permesso di implementare semplici elementi da survival che non mi sono dispiaciuti (in fondo, siamo in un mondo post-nucleare). Ho gradito moltissimo la presenza della possibilità di affrontare certi frangenti in fase stealth/di infiltrazione, cercando di non allertare un nemico numericamente superiore oppure distratto. Affrontare il gioco alla maniera stealth non lo snatura né lo rovina, e poi non è nemmeno obbligatorio quindi tutti i tipi di giocatori dovrebbero essere soddisfatti. Personalmente parlando mi sono trovato, senza sentirmi mai obbligato a farlo, ad alternare fasi di infiltrazione a quelle “alla Rambo”, senza soluzione di continuità e senza scossoni.

Un dettaglio che mi ha colpito e non poco, che mi ha riportato alla mente Dishonored, è la possibilità di stordire oppure uccidere i nemici ignari della mia presenza. Memore del titolo di Arkane Studios, mi sono ritrovato a stordire chi potevo, ma di fronte ad una situazione “mors tua, vita mea” non potevo far altro che pensare alla mia sopravvivenza e, quindi, dar fuoco alle polveri, sbarazzandomi delle minacce.

Tirando le somme, Metro Exodus porta avanti la tradizione dei suoi predecessori, non li snatura affatto e li arricchisce di un mondo liberamente esplorabile, più varietà nell’affrontare le situazioni e quelle tinte horror/survival che lo hanno reso celebre. Indubbiamente è una delle esperienze single-player più belle e ben realizzate in quest’anno iniziato da poco, erede di un periodo, iniziato un paio di anni fa, che ha restituito ai cuori solitari certi videogiochi dalla forte componente narrativa, oltre ad un buonissimo impianto di gioco.

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