Ti avverto: stai per leggere un concentrato di opinioni personali, quindi opinabili. Ho cercato di informarmi su qualche definizione, prima di avventurarmi in un discorso che – sono quasi certo – attirerà più antipatie che simpatie. Ma, sai cosa? Non mi importa. Quel che invece mi importa è scrivere qui cosa ne penso del videogiocare al tempo dei pronomi.
Una cosa che, al tramonto del 2024, sta prendendo piede come un “trend topic”, una parola chiave, una “key word” di Google, uno “status symbol”. E, inevitabilmente, sta diventando una cartina al tornasole per distinguere persone che parlano per sentito dire, persone superficiali, persone con un po’ di sale in zucca, persone che fanno di tutta l’erba un fascio (e di qualsiasi cosa) una guerra con un nemico da annientare.
Uso il termine “persone” perché definirli “videogiocatori” sta diventando un complimento.
Videogiocare

Prima che tu lo chieda in commento o altra forma: non mi ritengo un videogiocatore. Non sono mai in vena di complimenti nei miei riguardi, quindi lascio che siano gli altri a giudicare. Perché giudicare, e lamentarsi, è l’unica cosa che sappiamo fare, tutti, nessuno escluso.
I sedicenti “veri videogiocatori”, i professionisti di settore, i divulgatori, i profeti, sono altri. Loro si che hanno capito tutto, hanno la verità in tasca e tutti gli altri sono solo degli idioti a pensarla diversamente da loro, solo i saggi, il popolo eletto, prestano fede alla loro “evangelizzazione”.
I videogiochi, ormai, sono così tanti e così vari, che abbiamo sentito il dovere di etichettare i videogiocatori come “casual”, “cacciatori di trofei”, “pro-players”, “atleti”. Dipende da cosa si gioca, quando e come.

C’è chi gioca da dispositivi mobile, da divano, da scrivania, con console, con pc, solo cloud gaming (esistono, anche se non ve ne parlano). C’è chi gioca competitivamente, solo multigiocatore, solo cooperativo, solo giocatore singolo e altri ancora.
Per me siamo tutti videogiocatori. Per te, forse, questa affermazione potrebbe portarti a dire “se lo siamo tutti, allora non lo è nessuno”. C’è chi pensa che i veri cultori del videogioco siano quelli che usano solo PlayStation, solo roba Nintendo, solo PC.
Per qualche ragione che mi sfugge, la mia bolla sociale mi fa percepire che, chi si gode questo bellissimo passatempo su Xbox, è una sorta di umanoide in via di estinzione, che non capisce nulla di videogiochi, ma questa è una mia percezione personalissima.

Anch’io faccio di tutta l’erba un fascio e dico: noi pochi, noi felici pochi che videogiochiamo e basta. Come i soldati sotto il comando di Enrico V, di fronte alla schiacciante superiorità nemica prima della battaglia di Azincourt, sicuri di essere annientati. Siamo pochi folli che, contro ogni statistica, ogni presunta verità, videoGIOCHIAMO.
Invece di stare come tanti, che guardano gli altri giocare. Giochiamo, ci facciamo una nostra idea, un nostro giudizio, su quello che giochiamo, senza farci influenzare da quello che dicono su YouTube, Twitch, social networks e testate di disinformazione giornalistica online. Queste ultime sono solo questo, oppure vanno chiamate come quello che sono: vetrine di vendita e guide agli acquisti.
Invece di selezionare accuratamente i videogiochi non per quello che offrono, ma per la “fazione” a cui appartengono. Quanta amarezza e quanta tristezza.
Noi pochi, noi felici pochi, dicevo. I pochi che sanno davvero come godersi il “videogiocare”.
Il tempo dei pronomi

Andiamo all’altro nocciolo della questione: i pronomi. Partiamo dal significato letterale di questo vocabolo, visto che bisogna partire da lì. Dal momento che molti pensano di sapere qualcosa di grammatica di base e lessico, ma ho forti dubbi a riguardo. Treccani ci riporta:
“Parte variabile del discorso che ha la funzione di sostituire il nome, indicando, senza nominare, esseri e cose, dicendone la quantità e la qualità, e a volte i rapporti spaziali e, a seconda delle lingue, il genere, il numero e il caso; il pronome ha quindi non solo funzione di richiamare o anticipare una nozione già espressa o che verrà espressa dopo (per es.: la casa che ho comprato; questa è la mia casa), ma anche quella di richiamare il contenuto di intere frasi (lo sapevo che sareste arrivati), e di designare nozioni, persone o cose, non espressamente indicate (per es.: lui!; è proprio questo; è quello)”

Nel mondo dei videogiochi, a partire da agosto 2024, si è scatenata l’idea che la presenza della selezione dei pronomi “loro” e “non binario” nei videogiochi (di ruolo ma anche altro genere) sia una violenta forma di propaganda ed indottrinamento dell’ideologia “Woke” che ormai risulta endemica negli studi di sviluppo di videogiochi di alto e medio budget.
Propaganda ed ideologia che ha dichiarato guerra al “vecchio modo di fare videogiochi”, agli “incel” e al patriarcato, ormai simboli di oscurantismo da estinguere.
Dichiarazione di guerra arrivata da certi sedicenti sviluppatori di videogiochi o mestieri correlati ad essi (tipo “community manager”), che hanno espressamente dichiarato di odiare videogiochi e videogiocatori; ma il pane a casa va portato e questo lavoro – non proprio dei loro sogni – qualcuno deve pur farlo, povere stelle senza cielo.
Woke o Politicamente Corretto?

Il termine “Woke” è stato così tanto abusato e usato impropriamente, che ha smesso di indicare quello che deve. Oggi è un timbro universale per etichettare quello che non piace ad una determinata schiera di persone, che hanno idee molto chiare su precisi argomenti. Peccato che, così facendo, il termine “woke” sia diventato alla stregua di “capolavoro”, una parola che ha perso ogni significato primordiale e sostanziale.
Facciamo un po’ di chiarezza. L’origine della parola deriva dal verbo inglese “to wake” (svegliarsi) e si riferisce a essere consapevoli delle ingiustizie sociali e delle disuguaglianze, specialmente quelle legate a razza, genere e sessualità.
Si utilizza, di norma, per indicare una persona o un movimento che è attivamente impegnato nella lotta contro le discriminazioni e le ingiustizie sociali.
Può avere una connotazione positiva, ma è stato anche usato in modo sarcastico o critico per descrivere atteggiamenti percepiti come eccessivamente moralistici o ipocriti. Questi ultimi sono quelli che in passato venivano associati ai cosiddetti “social justice warriors”. I facinorosi “guerrieri di giustizia sociale”, che sui social network andavano come degli attivisti militanti, a fare da “polizia sociale” quando avvertivano il puzzo o leggevano contenuti ritenuti da loro offensivi.

Nel 2024, “Woke” è spesso fuso con, usato al posto di, ormai praticamente sinonimo di, “Politically Correct”. Andiamo a conoscerne la “sottile” differenza.
Il termine “Politicamente Corretto” è emerso negli anni ’70 e ’80 negli Stati Uniti e si riferisce all’uso di un linguaggio e di comportamenti che evitano di offendere o escludere gruppi di persone emarginati o discriminati.
Si applica a parole, frasi e azioni che sono considerate rispettose e inclusive, evitando stereotipi e pregiudizi.
Spesso ha una connotazione neutra o positiva, ma può essere usato in modo critico per indicare un eccesso di cautela nel linguaggio e nei comportamenti, percepito come limitante della libertà di espressione.
Per chi non avesse colto: woke indica una persona o un movimento attivamente impegnato nella lotta alle discriminazioni e ingiustizie sociali; politicamente corretto è l’applicazione di parole, frasi e azioni che evitano stereotipi e pregiudizi. Noti la differenza?
La Guerra ai Videogiochi

Nella seconda metà del 2024, titoli come Concord e Dragon Age: The Veilguard, sono passati alla storia per essere delle produzioni milionarie che sono state, sostanzialmente, gestite e sviluppate da attivisti del movimento “Woke” e, per questo, sono state boicottate e fatte fallire dal punto di vista commerciale.
Questo è quello che si narra. Il fatto che fossero giochi pensati male e realizzati peggio, pubblicati in mezzo ad alternative di gran lunga migliori, diventa del tutto accessorio alla narrazione.
Tra le tante cose da additare: la presenza di pronomi, che identificano i personaggi come “lui”, come “lei” ma anche come “non binari”. L’ultimo Dragon Age fa di più, mettendo in scena vere e proprie parentesi “didascaliche” che hanno l’intento di insegnare sessualità e sensibilizzare alla tolleranza di identità di genere discriminate o di minoranza.

Un eccessivo atteggiamento moralistico e ipocrita che non è passato inosservato. E ha contribuito ad abbassare la già bassissima qualità dell’opera, considerata così deludente da essere definita la pietra tombale della serie dalla quasi totalità degli appassionati di videogiochi di ruolo e della serie Dragon Age.
Questa è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, versato su un mare di polemiche che hanno ridotto il tutto, semplificando in maniera imbarazzante, alla presenza dei pronomi durante la creazione del personaggio.
Da oggi, qualunque sia il videogioco che adotta le opzioni di scelta del pronome per il proprio personaggio, viene etichettato come “appartenente alla forza militare woke” e propagante ideologia e dottrina woke. Quindi va assolutamente boicottato?

Altra domanda che mi sorge spontanea: questi appassionati, zelanti, zeloti, militanti videogiocatori che difendono la cultura primordiale dei videogiochi da pericolosi indottrinamenti, dov’erano?
Dov’erano quando si poteva scegliere il pronome in
- Starfield
- Baldur’s Gate 3 (dopo un aggiornamento)
- The Sims 4 (dopo un aggiornamento)
- Forza Horizon 5
E questi sono solo esempi blasonati. Ci sono altri giochi che non hanno attaccato, come Temtem o Pyre. Senza considerare la pletora di videogiochi in cui puoi creare un corpo di tipo maschile ma farlo muovere in maniera femminile, o associare una voce femminile; in certi titolo puoi farlo dormire tra le donne (Hogwarts Legacy) oppure evidenziare il pomo d’Adamo su una donna (Dragon Age: Inquisition).

Non mi sembra di aver visto levate di torce e scudi in questi casi. Cos’è successo ultimamente? Qualcuno di troppo influente ha iniziato a mettervi le pulci nelle orecchie? Adesso si parla di pronomi da scegliere alla creazione del personaggio di Avowed che uscirà a febbraio 2025, ed è subito il nuovo gioco da boicottare?
Che viene anche criticato per personaggi femminili lontani dai canoni estetici sud coreani di Stellar Blade. Avowed, che un titolo griffato Obsidian Entertainment che del tutto in linea con lo stile di Pillars of Eternity 2 del 2018? Perché per quest’ultimo non si sono levati gli scudi dei “difensori della vera fede”?

Sarà che adesso si fanno click, visualizzazioni, commenti facili e quindi monetizzazione sotto i grandi canali di “informazione”?
Se la presenza (solo quella!) di un selettore per il pronome del personaggio, basta a guastare l’intera percezione che hai di un videogioco, allora dovresti cambiare hobby.
Oppure goditi i videogiochi fatti bene, realizzati da persone capaci, a prescindere dalla presenza di pronomi da utilizzare in fase di creazione di personaggio.
Lascia che a videogiocare siano i pochi, noi felici pochi.






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