Binary Domain
L’Era delle Macchine sta per cominciare
Da quando il primo Gears of War è arrivato sugli scaffali, quasi sei anni fa, il mondo degli sparatutto in terza persona non è stato più lo stesso. Tra aspetti tecnici sopraffini, intelligenze artificiali convincenti e un sistema di coperture che definire “accademico” è eufemistico, il lavoro di Epic Games è divenuto incontrastato metro di paragone per tutti i giochi simili che si sono presentati dopo di lui.
Con l’eccezione di Uncharted, di Naughty Dog, ben pochi si sono distinti in questo settore di giochi con telecamera alle spalle del protagonista. Binary Domain, di Sega, sembra avere tutte le carte in regola per ritagliarsi la giusta fetta di celebrità, mutuando da Gears of War solo il sistema di coperture che ha reso celebre ogni Tps (sparatutto in terza persona) di questa generazione.
Macchine troppo umane o uomini troppo artificiali
Nei primi anni del ventunesimo secolo il problema del riscaldamento globale con conseguente scioglimento dei ghiacci, è arrivato al punto da elevare le acque del pianeta e ad inondarne la superficie. La quasi totalità delle città è andata allagata, miliardi di persone sono morte e l’umanità è costretta a vivere sulle macerie delle vecchie metropoli, in cima a nuovi grattacieli che possano elevarsi sopra le acque tumultuose del pianeta.
La costruzione di queste “città sopra le città” non sarebbe stata possibile in tempi brevi, se non fosse stato per i passi da gigante dell’industria robotica, che ha permesso l’impiego massivo di automi (o robot) che facessero operazioni pericolose e lavori pesanti al posto degli esseri umani. Immancabilmente, dal boom economico dell’industria robotica, ne escono vincitori gli americani della corporazione Bergen e i giapponesi della corporazione Amada. Quest’ultima, nel tentativo di rubare i segreti dei laboratori statunitensi, si trova al centro di giuste polemiche e guardata con sospetto dai concorrenti.
La situazione politico-sociale rischia di collassare quando le industrie robotiche fanno il passo più lungo della gamba e rilasciano in mezzo alle strade un numero non precisato di cyborg dalle sembianze umane: sembrano a tutti gli effetti delle persone, dotate di carne e pelle, sentimenti e genuino senso di appartenenza alla razza umana eppure – sotto pochi centimetri di pelle e sangue – vive un’intelligenza artificiale, un robot in tutto e per tutto: questi ignari prodotti artificiali sono stati etichettati come “Figli del Nulla” e sono sparsi in tutto il mondo in numero imprecisato.
Il giocatore entra in ballo negli anni ’80 del primo secolo del terzo millennio, quando la situazione è considerata insostenibile e viene formata una task force per raggiungere la Amada Corporation, in Giappone, e porre fine a questa “invasione silenziosa” di cyborg che pensano di essere umani: la goccia che fa traboccare il vaso è l’attacco terroristico da parte di uno di questi robot ai danni del quartier generale della Bergen Corp. Nei panni di Dan Marshall, quindi, siamo chiamati a guidare questa squadra speciale in una Tokio infestata da cyborg, alla ricerca del responsabile di questa “guerra”.
Tokio 2080 come Los Angels 2019
Le premesse che si celano dietro le vicende e le prodezze del nostro alter-ego, Dan Marshall, sono tutt’altro che banali. Attingendo profondamente da grandi classici quale Blade Runner di Philip K. Dick,Io Robot di Isaac Asimov, e il lungometraggio A.I. Intelligenza Artificiale, di S. Sbielberg, Binary Domain si presenta al pubblico come uno sparatutto in terza persona – come il già citato Gears of War – con visuale vicina alla spalla del protagonista e ambientazioni futuristiche, artificiose, distopiche.
Pur occupando la maggior parte del tempo in epiche sparatorie e ritmi adrenalinici, tutta la storia è scandita da belle scene di intermezzo che narrano una storia e temi molto maturi e che fanno riflettere su concetti quali “umanità”, “tolleranza”, “rispetto” e “tracotanza”. Il lavoro pubblicato da Sega, dunque, non brilla per originalità ma basa le sue fondamenta su grandi classici sia riguardo ai temi che riguardo al genere di videogioco che si presenta alle platee: non c’è niente di strano, numerosi altri titoli fanno lo stesso e meno abilmente di questo. Tecnicamente parlando, Binary Domain si presenta piuttosto bene anche nella sua versione Playstation 3, che è notoriamente la versione meno performante tra tutte quelle sviluppate.
Gli sviluppatori hanno dato dimostrazione di non voler scendere a compromessi in termini di qualità grafica ed effetti speciali, la resa finale è del tutto in linea con quella che possiamo trovare su Xbox 360 e Pc Windows, con qualche calo di fluidità da pagare nei momenti più concitati, o in quelli in cui gli effetti particellari (fumo, esplosioni) sono particolarmente accentuati. Molto buone le animazioni dei movimenti di soldati umani e meccanici, molto convincenti le espressioni facciali dei protagonisti pur essendo sempre lontani dai virtuosismi visti in L.A. Noire. Niente di grave da segnalare, a parte la spiacevole sensazione di “slittamento” quando il nostro alter-ego si prodiga in uno scatto reggendo un’arma pesante.
Le ambientazioni e il level design ci sono apparsi buoni (non eccelsi) e godono della giusta varietà. Per tutto il resto, Binary Domain è una vera gioia per gli occhi senza per questo brillare come Uncharted 3, vista la sua natura multipiattaforma. Sul fronte del sonoro, soprassedendo sulle tracce audio dimenticabili e affatto epiche, bisogna spezzare una lancia a favore di effetti sonori e doppiaggio: quest’ultimo, pur non essendo da Oscar, è completamente localizzato in italiano e offre un’interpretazione dignitosa mentre gli effetti sonori – specie di armi ed esplosioni – sono molto convincenti.
Boateng: “Ehi Dan, sei stato grande!” Marshall: “Ma vaff…!”
Binary Domain non è arrivato sugli scaffali per fare impallidire Uncharted 3 sul fronte visivo o Gears of War sul fronte delle sparatorie: quello che porta in dote meglio di chiunque altro è il cosiddetto “Sistema Consequenziale”, una sopraffina gestione di cause ed effetti generate costantemente da noi giocatori durante le sessioni di azione – preponderanti – e quei rari momenti di respiro in cui i compagni di squadra ci rivolgono domande o opinioni.
Quasi tutto quello che facciamo e diciamo influisce sulla fiducia che i quattro compagni di avventura della “Rusty Crew” provano nei nostri confronti: un basso livello di fiducia genera l’effetto di non avere supporto dai compagni quando siamo in fin di vita, di non essere ascoltati quando ordiniamo un assalto o un fuoco di copertura e altro ancora. Ogni compagno ha una propria indole, carattere e principi morali personali ed è sorprendente scoprire che parlare al grande, grosso e rozzo “Big Bo” in maniera gentile e seriosa, non è la via più giusta per entrare nelle sue grazie, ma è la condotta perfetta per essere guardati con rispetto e ammirazione dalla affascinante quanto letale ragazza cinese che è il cecchino della squadra.
Chiudono le fila due soldati britannici: un pedante fuciliere dello MI6 e una spigolosa assaltatrice. In occasione di scontri particolarmente impegnativi, se la fiducia tra i compagni è alta, questi saranno prodighi di consigli sulla migliore tattica da adottare, facilitando non poco la risoluzione di un conflitto contro nemici numericamente sovrastanti o apparentemente senza punti deboli.
Il sistema di coperture funziona egregiamente così come quello dei controlli, in generale che, durante il corso del gioco, divengono sempre più intuitivi e reattivi. La presenza di punti di potenziamento delle armi concorre a migliorare il “feeling” con l’equipaggiamento e il requisito per potersi permettere l’upgrade dei fucili è, semplicemente, quello di affrontare i nemici nel migliore dei modi. Privandoli di braccia e gambe, infatti, non solo otteniamo più crediti da investire nelle armi, ma anche vantaggi immediati sul campo. Se si è abbastanza abili nel privarli di testa, gli automi ci volgono le spalle e prendono a sparare agli altri robot, non potendo più distinguere gli amici dai nemici.
Mi ricevi!?
Altra interessante implementazione che Binary Domain porta in dote è la possibilità di dare autentici comandi vocali al posto di input richiamabili tramite pulsanti. Basta avere un auricolare bluetooth, fare una rapida calibrazione per il riconoscimento vocale e l’aumento del grado di coinvolgimento è servito. Il ruolo di Dan Marshall, nostro alter-ego nel gioco, è quello di leader della squadra speciale e per questo è chiamato a dare degli ordini. Analogamente a quanto accadeva in EndWar ed altri – pochi – giochi strategici, anche in Binary Domain si può aprire un canale vocale premendo il grilletto sinistro e gridare ordini alla squadra: intimare l’assalto, la ritirata, la copertura o il raggruppamento non ci è mai sembrato così convincente, specie per merito dell’intelligenza artificiale dei compagni sempre reattiva e coerente con il contesto.
Il riconoscimento vocale è abbastanza generoso a patto di non bisbigliare al microfono, d’altronde, in guerra, non si comunica per sussurri, giusto? Oltre ai fatidici ordini durante le battaglie, possiamo occasionalmente dialogare con i compagni che ci pongono delle domande: la nostra voce non sarà mai quella di Dan ma l’intento è quello di aumentare il coinvolgimento e, a nostro modesto avviso, Sega c’è riuscita benissimo. La possibilità di comunicare vocalmente non è stata tralasciata neanche nelle classiche modalità online: queste sono tanto competitive quanto cooperative, rispecchiando i classici canoni del genere “sparatutto” e proponendoli in terza persona.
Sia che si giochi in un team deathmatch o in una modalità “uomini contro macchine”, è certo che con il gruppo di amici giusto, diverse ore di divertimento possono essere garantite. Purtroppo l’esame della modalità online non può essere più approfondita perché al momento della nostra prova, i server erano semi-deserti e godere appieno delle potenzialità del multiplayer è stato difficile quando non impossibile.
Un titolo da non sottovalutare
Binary Domain è uno sparatutto in terza persona a sfondo fantascientifico che attinge a piene mani dai grandi classici di letteratura e cinematografia per offrire al pubblico una storia dai toni molto maturi e dagli interessanti spunti di riflessione. Al di là di questa, ci troviamo di fronte ad uno sparatutto equilibrato che offre tanta azione e la giusta dose di strategia. Unito ad un aspetto tecnico invidiabile, ad un sistema consequenziale convincente, ad un’intelligenza artificiale di rara fattura e un comparto sonoro d’eccezione, tutto si traduce in un videogioco che non dovrebbe essere sottovalutato da nessuno e preso in seria considerazione dagli appassionati di sparatutto in terza persona.
Il piccolo gioiello di Sega e di “Yakuza Team” brilla di luce propria, dopo tutto, e l’unico suo problema è stato arrivare nei negozi in un periodo infelice.
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