Vai al contenuto

Elden Ring

Elden Ring è un videogioco di ruolo d’azione in terza persona, a tema fantasy e sviluppato da From Software. Namco Bandai è il publisher a cui si affidano per la distribuzione del gioco all’estero. Si tratta dell’ultima fatica firmata dal game designer Hidetaka Miyazaki nel novero dei soulslike, sottogenere dei videogiochi di ruolo di sua invenzione. È disponibile per PC, PlayStation e Xbox dal 25 febbraio 2022.

Di Elden Ring si è scritto e detto qualsiasi cosa negli ultimi due anni. Quindi non leggerai molto di più che le mie personali impressioni intorno ad un gioco che non ha più segreti, ormai.

Il Senzaluce e l’Anello Ancestrale

Nell’Interregno, un reame di fantasia sospeso fra mondo reale e immateriale, regna la corruzione portata dalla disgregazione dell’Anello Ancestrale. Questo è un potente artefatto andato in frantumi quando la sua proprietaria, l’immortale regina Marika, ha deciso di separarsi dal reame un tempo beato.

La frammentazione dell’anello e la sparizione della signora, hanno permesso a caos e corruzione di dilagare in lungo ed in largo. Le menti ed i corpi delle semi-divinità al servizio della regina Marika sono state traviate, gettando l’Interregno nel più totale stato di abbandono e terrore.

L’unica speranza di redenzione è rappresentata da un pugno di esseri ancora dotati di libero arbitrio e piena coscienza di sé: i Senzaluce. Pochi eletti tra questi, vengono affiancati da una fanciulla, un’ancella, una sacerdotessa vergine che ha il potere di convertire il potere delle rune dell’Interregno in forza e capacità straordinarie.

Melina è una di queste sacerdotesse, che affianca il Senzaluce interpretato da noi giocatori. Il nostro compito è quello di ricomporre l’Anello Ancestrale strappandolo alle fredde dita di dei e semi-dei che ne detengono le parti. Infine dobbiamo scegliere se porre fine al Caos imperante nell’Interregno oppure salire sul trono per governarlo.

Magnum Opus

Vado subito dritto al punto: per me Elden Ring è l’opera “soulslike” più grande, complessa, sfaccettata, controversa, tecnicamente migliore che From Software abbia mai realizzato dal 2009, con il primo Demon’s Souls.

Tuttavia non lo ritengo “il capolavoro” di questo studio di sviluppo e del suo visionario game designer: Hidetaka Miyazaki. Per me, il capolavoro inteso come l’opera migliore, l’autentica pietra miliare insuperata; quella che ha scritto la storia; quella che ha lasciato un solco nel genere dei videogiochi di ruolo d’azione, tale da crearne un sotto-genere che ne richiama eternamente il titolo, resta Dark Souls.

Questa precisazione non toglie alcun merito ad Elden Ring, che è la somma di quasi tre lustri di esperienza, sperimentazioni tramite Bloodborne e Sekiro: Shadows Die Twice ed altri Dark Souls a definire una trilogia per molti, non per me, leggendaria.

La presenza di uno scrittore creativo e, a suo modo, geniale come George Raymond Richard Martin, ha dato ulteriore profondità e fascino allo sfondo leggendario e narrativo che si è definito intorno all’ambientazione di Elden Ring.

Aggiungo a queste considerazioni una mappa molto estesa e liberamente esplorabile fin dall’inizio; una mappa secondaria (quella del sottosuolo) molto vasta seppur non uguale a quella della superficie; decine di materiali da forgia, oggetti consumabili, armi e armature; meteo dinamico che cambia senza preavviso, grande varietà di nemici; varietà di biomi e architetture.

Insomma: tutto traccia la conferma che Elden Ring sia il lavoro dove From Software ha espresso tutta la sua esperienza e tutto il suo saper fare. Magnum opus significa, letteralmente, l’opera più grande per distacco e scala di sforzi creativi.

Ma (per me!) siamo ben lontani dal capolavoro: che (per me!!) resta Dark Souls.

Rune

Il mio primo impatto con Elden Ring è stato di meraviglia, stupore, incredulità. I primi passi nella prima regione, Sepolcride, sono stati fatti a bocca aperta. Non credevo che From Software fosse capace di regalarmi una mappa liberamente esplorabile e talmente affascinante fin da subito.

Ho avuto la percezione di giocare “il Breath of the Wild di From Software”. Anche quello, da me considerato “magnum opus” ma non il capolavoro di Nintendo in quella serie. Tornando ad Elden Ring: mi ha fatto sentire piccolo ed insignificante, smarrito e confuso, facile preda per fauna e flora dell’Interregno. Una sensazione che non avvertivo così forte dai primi passi di Demon’s Souls.

Dopo una manciata di ore di esplorazioni sommarie e schiaffoni feroci, dove sfruttare più il pratico stealth che l’approccio diretto, ho anche imparato ad affidarmi di più a Torrente. Esso è la cavalcatura magica che ci viene affidata dalla strega Ranni, all’inizio del gioco. Un compagno di viaggio che ci aiuta nell’esplorazione di grandi distanze, ma anche nel combattimento in campo aperto. Non può accompagnarci nelle grotte, nei dungeons e nei palazzi, per motivi più che comprensibili.

Ho finito il gioco con un personaggio combattente, che si affida alle armi bianche e armature discrete. Pochissima o nessuna magia. Il sistema di combattimento mi ha restituito un’ottima impressione dei colpi, della velocità, dell’impatto, della pesantezza: sia ad infliggerli che a subirli.

Altra nota positiva riguarda le possibilità di forgiatura e creazione oggetti consumabili: tra le più vaste e sfaccettate che io possa ricordare. Pur non essendo un amante dell’alchimia in questi giochi, mi sono dilettato quanto basta nella ricerca e creazione di oggetti “usa e getta” che potessero servirmi.

Il grado di sfida di Elden Ring mi è sembrato giusto. Ma lo affermo da giocatore di roba From Software dal 2009. Mi metto nei panni di chi affronta Elden Ring come primissimo soulslike e ammetto che allo smarrimento iniziale, si aggiunge anche la ripida curva d’apprendimento di chi vuole affidarsi all’esperienza autoptica ed empirica.

Il mio pensiero è che non importa quanta esperienza si abbia o quanti soulslike si sia giocati prima di questo. Ogni giocatore necessiterà del proprio tempo e della propria esperienza, prima di sentirsi padrone della situazione, confidente nei propri mezzi e nelle proprie forze. Questo è l’aspetto più gratificante del giocare un soulslike di From Software. Almeno fino a quando non ci si imbatte in un avversario che ci fa ripiombare nell’incertezza data da qualche falla nella nostra preparazione: altra grande metafora di vita.

Macchie rosse

Ci sono alcuni aspetti di Elden Ring, che mi hanno fatto storcere il naso, a volte non poco, suscitandomi un po’ di delusione e di frustrazione.

Perché penso sia un grandissimo peccato constatare che, dal 2009 ad oggi, alcune scelte di gioco o tecniche siano ancora ritenute valide. Sia dagli sviluppatori che dai giocatori: come se fossero totalmente incapaci di scrostarsi da una comfort zone che ormai puzza di vecchio e grezzo.

Il primo dispiacere è quello di constatare che, nonostante i tanti anni di stacco tra un titolo e l’altro, il motore grafico sia sempre il solito che svecchiano dai tempi di Demon’s Souls. Avrei apprezzato tantissimo, oltre all’evoluzione (o per meglio dire: saturazione) del gameplay che ho visto e rivisto nel corso degli ultimi quattordici anni, un’evoluzione tecnica.

Basti vedere il lavoro tecnico che hanno svolto gli sviluppatori di Bluepoint Games sul codice di Demon’s Souls, per realizzare un remake. Mi chiedo quanto sarebbe splendido giocare Elden Ring e i futuri titoli di From Software, con questo accompagnamento visivo.

Spero che il mio punto di vista sia chiaro: passi la conservazione del gameplay, che per quasi tutti noi non invecchia mai e continuano a limare un po’ di più. Ma questa conservazione, perché non viene controbilanciata da un po’ di sana, videoludica e mai troppo sgradita, evoluzione tecnica?

Anche Legend of Zelda e Super Mario seguono i tempi che corrono: conservano la propria essenza sotto una grafica sempre al passo con i tempi oppure uno stile sempre fresco accattivante. Amerei che la stessa cosa accadesse con From Software.

L’adozione del solito motore grafico e delle solite meccaniche ad esso legato, espongono anche Elden Ring ad un problema atavico: il clipping. Per clipping, si intende un glitch grafico (un errore di programmazione che non impedisce al gioco di funzionare per come è stato concepito) che provoca compenetrazione imprevista fra poligoni.

Faccio un rapido esempio: frappongo un pilastro, una parete o una barriera magica fra me e l’attacco (fisico o magico) di un avversario. Il clipping permette all’attacco di ignorare la parete, il pilastro, la barriera, colpendomi ugualmente. Questo glitch vale solo se a subire l’attacco sono io. Perché in caso inverso, mi è sempre impossibile sfruttare questo “vantaggio”.

Questo è un glitch che esiste da quattordici anni e non viene mai corretto. E non mi viene neanche di definirlo “caratterizzante”: è solo snervante e mi suggerisce un prodotto che non vuole perfezionarsi là dove potrebbe.

Analogamente, c’è una regola in tutti i giochi From Software, che vale solo per il giocatore e mai per i nemici: l’esaurimento della resistenza fisica. Fare troppi sforzi fisici (scatto, schivata, rotolata) e combattivi consuma resistenza. Esaurendosi questa, siamo lenti, indifesi, incapaci di parare o attaccare. I nemici, invece, non soffrono mai di questa limitazione: immaginate cosa può diventare un combattimento contro un nemico molto veloce.

Vero: viene calcolata la stabilità e la postura, che con pazienza e colpi reiterati può comportare allo sbilanciamento di qualsiasi nemico e alla sua esposizione ad un colpo critico. Ma il prezzo da pagare mi sembra comunque alto: bisogna fare sempre i conti con la resistenza. Per me la soluzione trovata in Sekiro era ottima, e andrebbe bene anche il passo indietro, purché quel che vale per il mio personaggio valga anche per gli altri.

Ultima macchia che mi ha fatto “odiare” i combattimenti, soprattutto quelli contro i boss, è la notale casualità dei pattern di attacco. Da un lato, questo permette ai nemici di essere molto più “umani” ed imprevedibili. Ma quel che io, vecchia cariatide dei videogiochi” voglio fare è battere il gioco. Per farlo ho bisogno di studiarne il comportamento, apprendere dai miei errori, imparare dagli errori dell’avversario, trovarne una breccia nelle difese.

Un nemico virtualmente perfetto, che da un lato prevede certe mosse e dall’altro cambia sempre modo di combattere, non mi permette altro che imparare quali mosse faccia. Sapere cosa fa ma ignorare totalmente il “quando” mi mette in difficoltà estrema.

Aggiungere una difficoltà estrema ad un gioco che, di base, facile non è, mi sembra solo un modo per farmi perdere tempo. Diverse volte ho iniziato a sperare che il nemico non facesse quella mossa oppure che ne facesse un’altra.

Per questo genere di sfida, punterei al PvP e all’imprevedibilità di combattere contro un avversario umano. Di un “intelligenza artificiale” che gioca meglio di un essere umano, barando (perché ha la stamina infinita) me ne faccio poco e la apprezzo ancora meno. Non mi diverte.

Punti di Grazia

Arrivato a quest’ultimo, grande, paragrafo non posso fare altro che ringraziarti per il tempo e la pazienza che mi hai dedicato. Fino ad ora ho parlato di Elden Ring dando per scontato di cosa si trattasse, ma spendo adesso un po’ di parole per dare un’idea più chiara a chi non sapesse di cosa si parla.

È un videogioco di ruolo d’azione in terza persona, come già detto. All’inizio si crea e si personalizza un alter-ego che è il nostro personaggio nel mondo di gioco. Durante questa creazione si sceglie quale “mestiere” fa il nostro personaggio. Si tratta della “scuola” da cui proviene: scegliere un cavaliere significa creare un personaggio allenato alla forza per usare le armi e alla resistenza per portare l’armatura pesante; scegliere un astrologo significa dar vita ad un personaggio che ha studiato magia e ha rafforzato la mente sacrificando capacità combattive e di trasporto.

Abbattere nemici di ogni sorta, conferisce un certo ammontare di rune. Una volta accumulate abbastanza, queste possono essere spese per aumentare le caratteristiche psicofisiche del personaggio (forza, destrezza, resistenza, mente e altre) oppure per pagare i fabbri e gli stregoni, per potenziare armi, armature e magie che abbiamo già oppure acquistarne nuove.

I nemici vanno abbattuti con armi bianche, armi da tiro e magie. Si combatte in rigoroso tempo reale (per questo è un videogioco d’azione). Il personaggio può camminare, correre, schivare, rotolare, parare, deviare i colpi, fare fendenti veloci, colpi lenti e pesanti, colpi speciali. Per far tutto e sopravvivere, bisogna gestire punti vita, punti magia e punti resistenza/vigore.

I punti di grazia che costellano la mappa di gioco sono dei focolari mistici da cui possiamo aumentare le nostre capacità fisiche e mentali. Fungono anche da punto di ripartenza se il nostro cammino fosse interrotto da morte prematura (più o meno accidentale). Nell’Interregno non esiste morte eterna per i Senzaluce: quando muoiono tornano in vita all’ultimo punto di grazia visitato.

Dopo poco ci viene concesso l’ingresso alla Tavola Rotonda, un luogo di rifugio dove si radunano i pochi Senzaluce sopravvissuti. Qui incontriamo i già citati fabbri e altri personaggi. Quelli che convertono le rune delle divinità in armi e magie più potenti, oppure quelli che tramutano le Ceneri di Guerra e le potenziano.

Queste Ceneri di Guerra sono delle evocazioni che, se richiamate, vengono in nostro soccorso e combattono insieme a noi nelle battaglie contro i più boss principali.

Non manca lo spazio per evocare amici ed estranei in carne ed ossa, a combattere al nostro fianco. Oppure l’accesso alle arene per competere contro altri giocatori (il cosiddetto Player versus Player, o PvP in gergo).

Una nuova era di giochi vecchi

Il successo indiscutibile e la sua quasi unanime approvazione in seno a critica e pubblico, consegna Elden Ring alla storia come uno dei più segnanti videogiochi di ruolo d’azione di questo decennio: senza se e senza ma.

Prima di lui assistevamo a tanti emuli dei Souls, dopo di lui la tendenza è pressoché diventata una regola: un videogioco di ruolo, se vuole essere d’azione, deve fare come fa Elden Ring oppure uno dei suoi illustri predecessori griffati From Software.

Lords of the Fallen, Lies of P, Steelrising, No Rest for the Wicked, Hades 2 e miriadi di altri non fanno altro che confermare il mio pensiero. Non ci resta che goderci il frutto di questi consensi.

Personalmente non sono felicissimo di questo andazzo. Uno dei miei generi preferiti, i videogiochi di ruolo d’azione (che ho ritenuto autenticamente evoluto a valle delle esperienze con The Witcher 3: Wild Hunt e Legend of Zelda: Breath of the Wild) si è arenato in un vero e proprio sotto-genere che sta assurgendo a standard di genere.

Il motivo è spiegato facile: i soulslike vendono di più. Le nuove generazioni sono abituate a quelli, assuefatte direi, e preferiscono comprare qualcosa di confortevole e facile da approcciare.

Elden Ring è stata un’esperienza divertente, profonda, segnante, colossale, che mi ha insegnato tantissimo sui miei limiti da videogiocatore e sui miei punti di forza. Ma la prospettiva di giocarne numerose “copie” per i prossimi dieci anni non mi entusiasma.

Elden Ring è un gioco che richiede molto tempo e santa pazienza. Soprattutto un neofita deve dedicarsi decine, quando non centinaia, di ore di gioco per apprenderne le regole e comprenderne le dinamiche. Come ogni gioco del suo genere, pone una grande barriera a chi non ha mai giocato qualcosa di simile prima. E anche a chi, come me, gioca soulslike dalla loro nascita.

Mi è sembrato un po’ come “il Silmarillion” di J.R.R. Tolkien: il mio libro fantasy preferito. L’ho letto la prima volta, super-affascinato, ma anche molto confuso. L’ho riletto e ho colto molti più dettagli. L’ho riletto una seconda volta e l’ho apprezzato ancora di più. L’ho letto fino ad otto volte ed ogni volta ho colto più sfumature, dettagli, sfaccettature, narrazioni tra le righe.

Elden Ring è per me la stessa cosa. Un’opera incredibilmente affascinante, vasta e complessa, che richiede una lettura molto lenta e attenta, oppure più di una lettura per essere apprezzata pienamente. Alla fine, per me, si tratta del “magnum opus” di cui accennavo più sopra. E non dubito che sia il gioco preferito di milioni di appassionati.

Ribadisco: per me il Signore degli Anelli è il capolavoro di Tolkien e il Silmarillion il suo magnum opus. Allo stesso modo Dark Souls è il capolavoro ed Elden Ring il magnum opus.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.