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The Outer Worlds

The Outer Worlds è l’ultima fatica di Obsidian Entertainment, gli stessi autori di Pillars of Eternity, Fallout: New Vegas, Star Wars: Knights of the Old Republic II, per citarne solo tre. E’ stato pubblicato lo scorso 25 ottobre ed è disponibile per PS4, Xbox One – anche sul Game Pass – mentre su PC si può acquistare dal Microsoft Store e dall’Epic Games Store. Ne hanno confermato una versione per Switch che arriverà nella prima metà del 2020, mentre per averlo su Steam occorrerà aspettare fino ad ottobre 2020.

Prospettiva saldamente in prima persona, nessuna microtransazione, niente loot-boxes, nessuna road map per eventuale season pass: The Outer Worlds è un gioco fatto e finito. Certo, le patch per smussare gli angoli non mancheranno, come al solito, ma a parte questo, sembra provenire da un tempo leggendario e glorioso in cui i videogiochi erano ben fatti e per cuori solitari, e la facevano da padroni. Parlarne nel mese di Modern Warfare e in piena esplosione di titoli calcistici che vivono di multiplayer online fa un certo effetto.

The Outer Worlds è ambientato in un futuro alternativo, in cui la storica successione dei presidenti degli Stati Uniti d’America ha preso tutt’altra piega. Roosvelt non è mai finito alla Casa Bianca e l’umanità ha raggiunto livelli di esplorazione spaziale a noi inimmaginabili. Questo spiega il motivo per cui la fantascienza ordita per noi giocatori sia tanto “anni ’50”, con annessi spot pubblicitari e locandine di propaganda tipicamente americane della prima metà del XX secolo.

Noi impersoniamo un sopravvissuto tratto in salvo da una nave alla deriva: la Hope. Non mi va di spiegare altro della trama perché è veramente molto interessante e (personalmente) la trovo molto avvincente. Quello che mi ha colpito tanto, è che fin da subito si capisce che non ci sia “bene” e “male”, buoni e cattivi. Ci sono, semplicemente, personalità di buon senso ed altre meno. Il nostro alter-ego viene creato fin nei dettagli grazie ad un apposito editor all’inizio del gioco. Riguardo alla sua personalità, sarà tutto affar nostro: il suo modo di rispondere agli altri, di porsi con le autorità, di portare a termine gli incarichi determina tanto il suo carattere quanto la sua reputazione agli occhi di persone e corporazioni.

Le parti salienti dell’offerta di The Outer Worlds sono diverse e tutte interessanti in egual misura. Comincio dal sistema di progressione del personaggio che rievoca i fasti di Fallout 3 e New Vegas, con tanto di “perk” che si sbloccano solo dopo aver conseguito un certo ammontare di punti abilità alla specializzazione di una caratteristica. Per esempio, dedicare molti incrementi alle capacità di utilizzo di armi da fuoco, arriva a sbloccare particolare perizia in utilizzo di pistole, fucili o armi pesanti, con conseguenti vantaggi in battaglia.

La seconda caratteristica che balza all’attenzione è la presenza di comprimari ben caratterizzati (ed ben interpretati dagli attori che li doppiano), che hanno – oltre ad una spiccata personalità – storie da scoprire, missioni personali da compiere e abilità speciali da sfruttare in battaglia. Fuori dalla battaglia le loro capacità influenzano positivamente quelle del nostro personaggio, come se ci aiutassero a svolgere un compito specifico. Nulla che non si sia già visto dai tempi di Mass Effect 2, tanto per citarne uno lontano dal 2019, ma certamente una caratteristica preziosa per rendere più profondo l’ambiente che ci circonda, più “palpabile” la presenza di coloro che ci seguono nelle avventure.

Trovo fantastica l’implementazione dei “difetti”, che per qualcuno potrebbe essere una novità assoluta ma nel novero dei giochi di ruolo/strategia (specialmente quelli da tavolo) è una costante. A pericolosi “talloni d’Achille” che decidiamo di contrarre, corrisponde anche un punto abilità bonus, prezioso per arrivare a vette di eccellenza in un campo di nostra scelta. I difetti spaziano dalla “banale” debolezza contro un determinato tipo di danno (sparo, taglio, botta, plasma, fuoco ed altri ancora) alle meno banali fobie: mi hanno segnalato la possibilità di contrarre la “robofobia”, la paura dei robot, che in The Outer Worlds sono praticamente ovunque. Questa aspre scenari esilaranti, specialmente quando un negozio o un ristorante è gestito da un robot che sostituisce una figura umana.

Il sistema di dialoghi a scelta multipla con tono diverso dovremmo conoscerlo tutti. Per quelli che non lo hanno ben chiaro riassumo al volo: tutte le volte che si parla con un personaggio, possiamo adottare una risposta diplomatica, intimidatoria, remissiva, pacata, aggressiva e così via. Quello che mi ha colpito tantissimo di The Outer Worlds è la possibilità di rispondere, praticamente ovunque e a chiunque, in maniera sarcastica ai limiti dell’istigazione all’omicidio. Ve lo scrive una persona sarcastica da fare schifo, che trova questa possibilità tanto geniale quanto sorprendente.

The Outer Worlds non è un banale videogioco di ruolo d’azione. E’ possibile portare a termine esplorazione e missioni in maniera non-violenta praticamente sempre: basta dedicarsi all’evoluzione e al potenziamento di tutte le abilità oratorie e di infiltrazione. Vuoi dar fuoco alle polveri e sfruttare tutto l’armamentario che il gioco ti mette a disposizione? Puoi farlo con armi da fuoco e da mischia. Quelle da mischia sono ad una mano o da impugnare con entrambe le mani. Quelle da fuoco, come accennato più su, sono pistole, fucili e armi pesanti. Ogni tipologia di arma da fuoco ha le sue sotto-categorie e tutte le armi possono essere arricchite da danni elementari in aggiunta a quelli fisici.

La presenza di tavoli da lavoro permette, infine, di modificare, potenziare e smantellare quello che vogliamo, per rendere tutto l’equipaggiamento all’altezza del nostro stile di gioco. Non mancano, ovviamente, le modifiche da apportare alle armi: caricatori estesi, silenziatori, impugnature migliori, mirini di precisione ed altro ancora.

Qualcuno punta l’indice sui sottotitoli troppo piccoli nella versione per console e la mancanza di doppiaggio in italiano: il primo difetto sarà subito corretto con una patch; la mancanza di doppiaggio in italiano è una di quelle critiche che non comprenderò mai e che non potrò mai commentare senza il pericolo di offendere la sensibilità (e l’analfabetismo di lingua straniera) di qualcuno.

Le scelte linguistiche di adattamento e traduzione dei nomi propri di navi e luoghi non mi piacciono. Oltre che cacofoniche, sono anche troppo lontane dal nome inglese da cui provengono. Faccio due esempi: la città di Edgewater è stata tradotta Lungacque. Mentre l’astronave Groud Breaker è diventata la Pioniera. Nulla da ridire sul lavoro dei traduttori e degli adattatori: è uno sporco lavoro e qualcuno deve pur farlo. Mi limito ad esprimere un mio personalissimo e opinabilissimo parere: secondo me potevano fare di meglio. Inoltre, sebbene io abbia scelto di impersonare un personaggio maschile, molti testi si riferiscono a me al femminile.

Nulla da dire sull’Unreal Engine tirato a lucido per The Outer Worlds: un lavoro artistico e di design di luoghi e ambientazioni che, ai miei occhi, è solo da applaudire.

The Outer Worlds è stato pubblicato in una finestra di lancio affollatissima. Fra Modern Warfare, titoli di calcio, Death Stranding imminente ed altri titoli (a detta altrui) irrinunciabili, è un peccato che Obsidian Entertainment non riesca a capitalizzare il successo di una fatica esemplare.

Al di là di questo: dagli storici autori della serie Fallout, nata nel 1997 e firmata Tim Cain e Leonard Boyarsky, arriva un signor videogioco di ruolo d’azione, fantascientifico, squisitamente “vecchia scuola”, che ricorda Fallout: New Vegas e – a mio parere – Borderlands: per i toni scanzonati e per il fatto di non prendersi troppo sul serio. Se ti piacciono i videogiochi di ruolo d’azione, la fanstascienza e Fallout: New Vegas, The Outer Worlds è il gioco giusto per te, imperdibile.

 

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