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L’irresistibile bisogno di partecipare al Day One

Partecipare al day one del videogioco di turno. Quello di cui si parla, quello che youtubers, twitchers ed influencers vari ti fanno uscire da ogni poro per settimane, mesi, anni.

Si crea un treno di aspettative, una febbrile attesa, qualche milione di persone corre addirittura a pre-ordinare un prodotto che ancora “non esiste”, perché non è “tangibile”. Eppure c’è sempre l’irresistibile bisogno di partecipare al day one.

Sarebbe tutto molto bello, se non fosse che poi inizia il festival del disagio: reale, comprensibile e da compatire oppure creato ad arte, da mestieranti della polemica.

Perché lo fai

Se tu non fossi abituato ai miei sfoghi, vengo subito al dunque: sono opinabilissimi, sempre biasimabili e grandemente discutibili. Potresti concordare con me oppure no, non mi importa. Scrivo in queste pagine da quindici anni e non lo faccio per ottenere consensi, ma solo per condividere i miei personali punti di vista.

Molti videogiocatori appassionati, forse anche tu, corrono a pre-ordinare o acquistare un videogioco prima o durante il suo primo giorno di pubblicazione per motivi che possono esulare il mero interesse sul prodotto.

È mia opinione che moltissimi appassionati pigri vogliano semplicemente comprare (e spero anche godere) dei videogiochi che sono sulla bocca di tutti, che sono consigliati dal proprio intrattenitore preferito, che sono consigliati da amici, parenti e colleghi ma senza il reale bisogno di essere intrattenuti dal titolo del momento.

Ho visto persone comprare un videogioco di cui non importava assolutamente nulla con la seguente motivazione: visto che ne parlate tutti e l’avete comprato tutti, l’ho fatto anch’io, vediamo di cosa si tratta. Comprendi? Risparmi (suoi o altrui) spesi su un prodotto che dovrebbe essere di intrattenimento. Eppure non si ha la minima idea di cosa si sta acquistando. Perché non attendere un titolo che interessa veramente?

Altri videogiocatori cadono nel tam tam mediatico, nella pulsione atavica di appartenere al proprio gregge, per non sentirsi esclusi oppure lasciati indietro. Quasi a volersi dare una medaglia al valore sociale, un premio per non essere stato apatico, insensibile, riservato o altro. Ma a che prezzo?

Il “bisogno di appartenenza” non l’ho di certo inventato io, non sono un sociologo né uno psicologo, ma so per sommi capi come funzionano le dinamiche o le pulsioni sociali. E la pulsione di essere accettati anche da perfetti sconosciuti, di appagare stima ed autostima, il viscerale bisogno di sapersi parte di un qualcosa che appartiene a tutti, anche se in percentuali diverse.

Perché lo faccio

Dall’altro lato della barricata metto me stesso. E chi, come me, anche per merito di una certa età anagrafica, non avverte tutto questo bisogno di appartenenza sociale. Personalmente, poi, credo di scadere nell’asocialità e nella sociopatia, non di quelle severe, ma questo è un altro discorso. Senza scomodare i miei gusti di merda in fatto di videogiochi, che mi tengono ben lontano dai titoli di maggior richiamo e ben vicino ai titoli di nicchia.

Anch’io partecipo ai pre-order e ai day one di qualche videogioco (di certo non tutti o non tanti). Perché lo faccio? Per motivi che puoi condividere oppure no. Il motivo numero uno è quello di dare un piccolo segnale allo sviluppatore di turno.

Arrivato qui, potresti dire “be’ lo faccio anch’io, è sottinteso”. Io non sottintendo assolutamente niente, perché non pre-ordino né compro al day one “a scatola chiusa” o per correre sui social a mostrare il mio “stare al passo con i tempi”.

Contrariamente a coloro che comprano un gioco solo perché me lo dice un egomaniaco o un narcisista su YouTube o su Twitch, io mi informo e mi faccio un’idea generale del titolo in lavorazione. Da un lato mi aiuta l’esperienza, dall’altro l’eventuale consapevolezza di chi sta lavorando al prodotto annunciato.

Fino a Cyberpunk, nutrivo tacita ed infinita fiducia nei confronti di CD Projekt Red, autori di un paio di videogiochi di ruolo davvero niente male. Fino ad Anthem, ero solito sapere o intuire cosa mi aspettava dai lavori di BioWare. Ma quel tempo è finito, non comprerò mai più i loro lavori il giorno di pubblicazione.

Quest’anno, per esempio, ho impegnato i miei risparmi per Star Wars: Jedi – Survivor, Diablo 4 e Baldur’s Gate 3. Perché?

Star Wars: Jedi – Survivor è sviluppato dallo studio di sviluppo che mi ha totalmente gratificato con i due Titanfall, Apex Legends e il primo, emozionante, Star Wars: Jedi – Fallen Order.

Diablo 4 è figlio di quell’atavica Blizzard Entertainment che mi ha intrattenuto centinaia, quando non migliaia, di ore per merito della bellezza dei suoi Diablo, StarCraft, WarCraft e Overwatch.

Baldur’s Gate 3 è il punto di arrivo di una serie di videogiochi griffati BioWare e Black Isle, ereditato da quei Larian Studios che mi hanno totalmente affascinato dal loro primo sforzo creativo: Divine Divinity. Gli ultimi Divinity: Original Sin, poi, mi hanno definitivamente convinto che il progetto sia un mani almeno competenti.

Esimie teste di cazzo

Altra motivazione che spinge tanti, forse troppi, sedicenti esperti, opinionisti, polemisti è quella di salire quanto prima su un pulpito a dire la propria. Spesso e volentieri, “la propria” è una semplice cassa di risonanza di qualcun altro.

Ancora più spesso si corre a comprare un titolo al lancio per correre ancor più veloci a lamentarsi dell’ormai sempre chiacchierata mancanza di ottimizzazione. Ma è solo la punta di un iceberg di lamentele che fa la conta su tutto quello che manca ad un prodotto appena pubblicato.

Quel che questi sedicenti esperti (ma per una volta li vorrei etichettare esimie teste di cazzo, perché è quello che sono realmente) ignorano totalmente sono giusto un paio di cose.

La prima è ignorare soprattutto chi sta dietro lo sviluppo e la pubblicazione di un videogioco. Specialmente quelli che muovono grandi capitali e budget per essere concepiti, realizzati, pubblicizzati e commercializzati in tutto il mondo. Dietro quei poligoni, dietro quelle storie, ci sono persone in carne ed ossa, che spesso rinunciano (spero rinunciavano) a famiglia e amici per portare in casa tua, entro la data che gli è stata praticamente imposta, il gioco che tu corri a disprezzare tanto.

La seconda è ignorare, totalmente, quanto siano cambiati i mezzi e le possibilità di sviluppare un prodotto. Certi prodotti, poi, prevedono una lenta ed inesorabile evoluzione di contenuti. Evoluzione a cui si vuole affiancare anche quella tecnica per rendere il processo più sostenibile.

Dare un senso alle lamentele

Con questo non voglio affermare che bisogna accontentarsi e subire passivamente ciò che viene pubblicato in condizioni discutibili. Ma certamente si può avere l’accortezza di discernere tra un prodotto concepito male e realizzato peggio da uno che è una base “giocabile” ma manca di tutto il contorno.

Nel 2023 si narra ancora la storia che i videogiochi, soprattutto quelli di alto budget, hanno il dovere sociale e sostanziale di arrivare sugli scaffali pronti, perfetti, intoccabili. A questi narratori, ai difensori di questa dottrina, dico solo: cambiate hobby e liberateci dalla vostra stupidità.

Realizzare un videogioco d’alto budget costa. Bisogna ottimizzare tempi e costi, oltre che evitare di schiavizzare le risorse umane. Volete il gioco tecnicamente inattaccabile? Allora vi accollate un gioco ogni 10/15 anni, con tutte le conseguenze del caso. Non voglio più leggere di minacce di morte, forconi virtuali e caccia alle streghe.

È più o meno da quindici anni che i videogiochi vengono pubblicati in versione “primordiale”, più o meno stabile, poveri di contenuti al lancio. Ma con tempo, supporto, pazienza, gli sviluppatori ne curano ogni aspetto fino a renderli la versione migliore del gioco al day one. O, per dirla a parole degli sviluppatori, il gioco diventa quello che è sempre stato nella mente dei creatori ma non lo era ancora concretamente.

A Gotham Knights sono bastati ventotto giorni per risolvere i problemi tecnici: unico aspetto per cui il gioco è stato etichettato come “non consigliabile”.

A No Man’s Sky sono serviti anni per diventare ancor più bello di come ce l’avevano presentato prima del day one (e per cui gli sviluppatori sono stati minacciati di morte).

Cyberpunk è diventato la versione migliore di se stesso dopo anni, con pazienza e dedizione da parte degli sviluppatori, tacciati di essere dei truffatori.

Assassin’s Creed: Unity e Mass Effect: Andromeda, hanno risolto i loro difetti di day one al lancio. Ma nessuno ha ritenuto opportuno farlo presente: meglio gettare benzina sul fuoco e tacciare gli sviluppatori di incompetenza.

Potrei continuare per migliaia di altre parole, mi fermo qui. Smettete di comprare giochi al day one, se non avete la pazienza di aspettare la versione finale di ciò che tanto bramosamente attendete di giocare.

Pochi Day One ma buoni

Giunto a leggere fino a qui, non posso che ringraziare per il tuo tempo e per la tua attenzione. Questo mio sfogo vuole spingere alla riflessione e alla maggiore consapevolezza di quello che un giocatore può e deve fare. E ciò che dovrebbe evitare.

Invece di comprare ossessivamente al day one, per scoprire che puntualmente il gioco perfetto ed intoccabile non è uscito neanche questa volta, frena i tuoi bollenti spiriti videoludici e aspetta.

Se proprio non vuoi aspettare, ma vuoi farti sentire, allora compra presso esercenti che ti garantiscono il rimborso. Steam, per esempio, concede rimborso entro le due ore di gioco giocato e a qualche giorno dall’acquisto.

Il rimborso per un gioco deludente è uno strumento potente. Più di migliaia di recensioni negative, spesso false e non credibili. Ancor più potente sarebbe il messaggio che un gioco al day one non ha venduto (o pre-venduto) quanto previsto.

Quello sarebbe uno spettacolo tutto da vedere: sviluppatori e produttori dovrebbero a quel punto rivedere tutte le loro politiche di marketing. Ovviamente sono mie congetture personalissime.

Gli appassionati che comprano a scatola chiusa, per pigrizia, passivamente, per seguire il gregge, per dire la propria non richiesta o fuorviante ci saranno sempre. Ma tu che mi leggi, forse, da oggi potrai fermarti un istante e chiederti: come posso rendere il mondo dei videogiochi un mondo migliore?

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