Dragon Age 2
Campioni, Dragoni e Custodi Grigi: si torna nel Ferelden!
C’era una volta la Bioware e c’è ancora, ma ci chiediamo se sia sempre la stessa. Una delle poche software house al mondo a sviluppare un capolavoro dietro l’altro a partire da Baldur’s Gate e per concludere a Mass Effect. Sul finire del 2009, approdò sugli scaffali Dragon Age Origins: un ritorno alle origini che tanta emozione, tanto fascino ed altrettanti plausi da critica e pubblico ha provocato: i maestri di storie fantasy a base di cavalieri e draghi erano tornati in grande stile.
Evidentemente ciò non è bastato per confermare quanto di buono era stato fatto e Dragon Age 2 ne è la prova. Scopriamo insieme i motivi di un clamoroso “passo indietro” di Bioware che non ha precedenti nella sua brillante storia.
La leggenda dell’Era del Dragone
Dragon Age è una serie di videogiochi di ruolo annunciata a suo tempo da Bioware. Con il primo episodio, denominato “Origins”, gli sviluppatori non hanno mai nascosto la loro volontà di riportare in auge i fasti del lontano Baldur’s Gate: il loro primo importante progetto datato 1998, nonché clamoroso successo di vendite e critica, ancora oggi giocato, venduto, ricordato e discusso in tutto il mondo. Era un GdR con visuale isometrica dall’alto, simile a quella vista in precedenza in Diablo, ma questa è l’unica cosa che i due titoli avevano in comune: basato sull’universo narrativo di Dungeons and Dragons, nonché sulla seconda edizione delle regole del celebre gioco di ruolo, Baldur’s Gate è ancora oggi considerato una “pietra miliare dei videogiochi di ruolo”.
In Dragon Age Origins è stato posto un forte accento sulle origini del personaggio controllato dal giocatore: questi poteva impersonare un umano, un elfo o un nano e la loro provenienza sociale. Il gioco procedeva, poi, secondo i canoni degli sviluppatori, cioè offrendo piccole dosi di esplorazione ma una forte carica narrativa. Muoversi per le lande del Ferelden (il continente di gioco) significava muoversi in un mondo pulsante di vita, con le sue regole, i suoi pericoli e regioni economico/sociali varie. Un mondo dalle mille sfaccettature, da fare invidia ad un J.R.R. Tolkien o G. Martin.
Addio “Origins”: riecco Mass Effect
Già dai primi istanti di gioco è molto chiara la nuova direzione presa da Bioware per il brand di Dragon Age: sono state abolite le razze e al giocatore non resta che scegliere il sesso e il nome del protagonista (rigorosamente umano). Qualche libertà è concessa in sede di personalizzazione del volto ma la sensazione è quella di rivivere i momenti di creazione del personaggio di Mass Effect. Qui non c’è spazio per Shepard ma per Hawk, cognome standard esattamente come per il fantascientifico eroe galattico, nonché appellativo di comodo per tutti i personaggi che si rivolgono al personaggio principale.
Peccato, perché in “Dragon Age Origins” c’era quella splendida sensazione di creare e delineare un personaggio leggendario e a misura di giocatore: elfo, nano, uomo, la provenienza sociale e un prologo più unico che raro. In Dragon Age 2 troviamo un personaggio vissuto e pre-costituito, ne conosciamo in parte il passato e con estrema sicurezza il futuro. Neanche in Mass Effect fu osato tanto: al giocatore era concessa una fra tre diverse “storie di provenienza” del protagonista. A parte questo dettaglio, tutti gli amanti della saga di fantascienza si sentiranno a casa, dovranno solo abituarsi allo sfondo fantasy.
Gli altri, che tanto bene si trovarono in Origins, dovranno tirare un profondo sospiro e accettare di buon grado questa prima di una lunga serie di semplificazioni, che rende il gioco profondamente cinematografico ma altrettanto limitante e limitato.
Guerrieo, mago, ladro…sembra Diablo ma non lo è
Sarà che il capolavoro annunciato da Blizzard è in dirittura d’arrivo, sarà che Diablo ha fatto la storia del suo genere e promette di scrivere pagine di un nuovo, glorioso, successo, fatto sta che Dragon Age 2 fa il possibile per somigliare tanto all’action gdr della concorrenza. Lo fa proprio dall’inizio, dalla fatidica scelta della classe di gioco: guerriero, mago o ladro. Una semplificazione disarmante e l’unica differenza evidente tra Dragon Age 2 e Torchlight (giusto per citare un acition gdr recente) si riduce alla qualità grafica, alla presenza di dialoghi doppiati da attori e nell’eventuale scelta etica per risolvere una controversia.
Non aggiungiamo altro, se non che con il proseguire del gioco e grazie ai fatidici passaggi di livello, possiamo attingere da cinque o sei “scuole di pensiero” per ciascuna classe: così il guerriero può diventare un prode spadaccino armato di scudo oppure un potente combattente che impugna solo armi a due mani. In maniera analoga possiamo evolvere sia il ladro che il mago, attingendo a diverse specializzazioni e delineando, così, il personaggio che più ci aggrada.
Semplificare in maniera così drastica gli aspetti cruciali di un videogioco di ruolo serio, complesso e profondo come Dragon Age Origins, da un lato, può aprire le porte a numerosi acquirenti, questo è indubbio. Snaturare un GdR che poteva fregiarsi di migliaia di qualità fino a farlo scadere al rango di “ammazza-tutto” neanche tanto originale ci lascia molto perplessi.
A tratti sembra un bel film
Il non indifferente passaggio da un prodotto “vecchia scuola” ad uno più al passo con i tempi, come quello compiuto da Dragon Age 2 non riflette solo cattive notizie. La naturale evoluzione del motore di gioco “Eclipse”, lo stesso visto in azione in Dragon Age Origins, garantisce il giusto livello di dettaglio a tutta la grafica senza, però, eccellere o spiccare sulla concorrenza.
Differenze enormi, tra questo episodio e il precedente, non ce ne sono; l’unica scelta di design degna di nota è quella che tende a minimizzare gli sfondi di gioco a favore di una palette di colori più forte per tutto quello che è in primo piano. Questa scelta visiva, unita ad un generale re-stilyng di tutti i personaggi di gioco – in particolar modo le acconciature e il vestiario di questi – facilità il coinvolgimento del giocatore, che non perderà molto tempo prima di essere catturato dal vortice di violenza, avventura ed etica che caratterizza Dragon Age 2.
La presenza di dialoghi doppiati da professionisti, rigorosamente in inglese ma sottotitolati in italiano, aumenta il tasso cinematografico offerto. Le cose da fare, le missioni da compiere e i dialoghi da sostenere sono di numero assai elevato e quello che ci ha colpito positivamente è che la noia non viene praticamente mai a bussare nella mente di chi gioca. Questo è un plauso doveroso all’ultima fatica di Bioware: se c’è una cosa che sanno fare bene è coinvolgere il giocatore al punto da impedirgli di staccarsi dal joypad (o dalla tastiera) finché non siano giunti i titoli di coda.
Taglia qui e incolla lì, ma fallo in fretta così viene meglio!
Diciotto mesi di sviluppo possono essere tanti per creare giochi di un certo tipo, ma per fare in modo che un gioco di ruolo sia monumentale e indimenticabile (come lo sarà per sempre Dragon Age Origins) non bastano di certo. Che Dragon Age 2 sia stato sviluppato di fretta lo si evince in quasi ogni angolo di gioco: se la presenza di sole tre classi o l’assenza di qualsivoglia razza fantasy selezionabile fa già discutere, cosa potremmo dire di positivo quando ci accorgiamo che le locazioni di gioco tendono a ripetere sia il design che la forma?
Le mappe sono discretamente grandi, ma alcune tengono a somigliarsi tanto. In certe locazioni, inoltre, gli oggetti o i fondali tendono a replicarsi lasciando intendere che forse, qualche mese in più di ottimizzazione non avrebbe guastato. Bisogna rivelare che la gestione del party è stata drasticamente semplificata: pur avendo la possibilità di affiancare ad Hawk altri tre compagni di avventura, l’unico che si può gestire fino all’inventario è proprio il nostro personaggio. Per gli altri possiamo limitarci a gestire gli incremeti di caratteristica e di abilità al fatidico passaggio di livello.
Intelligenza artificiale da rivedere, combattimenti degni di God of War
Sul fronte dell’intellingenza artificiale che gestisce i comprimari bisogna spendere qualche parola: è del tutto inadeguata e più di una volta ci siamo chiesti perché, l’arciere e il mago del gruppo – che abbiamo istruito a dovere per combattere “a distanza” – vadano a combattere corpo a corpo con i nemici più nerboruti e corazzati del momento: mistero. Altra nota di colore va alle sezioni di combattimento appena accennate: esse caratterizzano circa il 90% di tutto il gioco e prevedono la famosa “pausa tattica” per istruire il gruppo sulle azioni da compiere.
In realtà la pausa tattica è quasi del tutto inutile, perché basta premere il tasto di attacco senza soluzione di continuità, attivando di tanto in tanto i colpi speciali per stordire, amputare o frantumare i nemici. Sotto l’aspetto degli scontri fisici, il gioco ricorda molto i più gettonati hack’n’slash tipo Torchlight o Sacred 2, mentre la mattanza dei combattimenti e l’esplosione di ettolitri di sangue cremisi ci ha ricordato molto da vicino God of War.
A valore di questa affermazione aggiungiamo che le velleità tattiche non sono ricercabili a causa dell’intelligenza artificiale descritta più sopra e per lo scarso spazio di manovra in cui si agisce. Il tutto si traduce in confusionarie mischie in cui vince chi ha il dito più veloce. Peccato che, in linea teorica, Dragon Age non dovrebbe essere né un hack’n’slash né un action adventure.
Da “miglior gioco di ruolo dell’anno 2009” a “gioco qualunque dell’anno 2011”
Dragon Age 2 è un GdR denso d’azione che condivide, con il suo predecessore, soltanto lo sfondo narrativo. E’ caratterizzato da un personaggio, Hawk, che è l’alter-ego di chi gioca. Di quello si può scegliere il sesso di appartenenza e una delle tre classi di combattimento offerte: guerriero, mago, ladro, come la più classica tradizione di hack’n’slash (gdr d’azione) tramanda.
L’ultima fatica di Bioware offre un’altissima qualità narrativa ed elevato ritmo di gioco che non fa mai giungere la noia. Purtroppo lo sviluppo troppo frettoloso – influenzato da scelte di marketing – ha sortito l’effetto di donare al pubblico un prodotto radicalmente diverso da Dragon Age Origins e sotto molti aspetti limitato e limitante.
Per la semplicità d’uso, la spettacolarità della trama e la relativa facilità di gestione dei personaggi, ci sentiamo di consigliarlo ad occhi chiusi soltanto a chi vive di “pane e GdR”, mentre tutti gli altri dovrebbero fermarsi a ragionare l’acquisto: potrebbe essere fonte di delusione.
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Concordo su tutta la linea. L’ho provato con te. Oggettivamente sembra un hack’n slash. Preferisco sicuramente il primo…
Una delusione incredibile, guarda… Hanno gettato alle ortiche un progetto incredibilmente affascinante per colpa di marketing, denaro e poco altro. Non è un brutto gioco, ma è l’antitesi di tutto ciò che era e che doveva continuare ad evolvere 😦