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Tomb Raider – Speciale parte II

 

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La Daga di Xian e la Maschera d’Oro per bissare il successo

Dopo aver sconvolto i videogiocatori e gli addetti ai lavori di tutto il mondo con il primo Tomb Raider, Core Design ci riprova e nel 1997 riesce a completare il secondo capitolo delle avventure di Lara Croft, eroina indiscussa ed icona inconfondibile del videogioco.

Tomb Raider II e i giochi successivi sono orfani di Toby Gard – il genio che ha immaginato e creato Lara – ma godono di un team di sviluppatori due volte più grande che riesce, ad ogni uscita, portare piccole innovazioni, tali da rendere le avventure di Miss Croft, sempre uniche e indimenticabili.

Il secondo episodio di Tomb Raider narra delle avventure di Lara alla ricerca di un artefatto chiamato Daga di Xian. Secondo la leggenda, la daga ha il potere di trasformare in dragone colui che ha il coraggio di trafiggersi il cuore con essa. Andata perduta in tempi remoti, questa giace nei pressi della Grande Muraglia. Ma prima di arrivare a questo mitico reperto archeologico, l’avventuriera dovrà prima passare da Venezia e poi dal Tibet e, solo infine, si recherà nel punto in cui sembra esserci la daga.

Lara Croft appare ancora più in forma, rispetto al prequel. Adesso le sue evoluzioni sono accompagnate dalle animazioni della “coda di cavallo” che ha contribuito a renderla famosa. Questa non era presente nel primo Tomb Raider, perché Core Design non era riuscita a trovare il giusto compromesso tra effetto grafico e sfruttamento dell’hardware, dichiararono che l’animazione della coda di Lara avrebbe richiesto troppe risorse, rallentando il gioco e pregiudicandone, quindi, il divertimento.

A portare una ventata di aria fresca ad un gameplay rodato ed entusiasmante arrivano due veicoli da utilizzare: il motoscafo da utilizzare nei canali di Venezia e la motoslitta da cavalcare sulle innevate distese del Tibet.

I livelli di gioco sono più grandi, vi sono più nemici, specialmente umani -questo dettaglio ha suscitato molte polemiche, macchiando Tomb Raider di un alone di violenza eccessiva- e adesso vi è l’illuminazione dinamica: quando Lara spara al buio, i lampi delle armi illuminano per un istante l’archeologa e le immediate vicinanze. Il buio può essere affrontato anche grazie ai “bengala” che bruciano nella mano di Lara come una torcia dal tempo limitato.

Ma non si potrebbe parlare di Tomb Raider se non si citassero le “nuove mosse”. Queste caratterizzano ogni nuova uscita del gioco, e spesso i videogiocatori si sono chiesti “chissà cosa riuscirà a fare Lara, la prossima volta”. Ad ogni release, gli sviluppatori hanno sempre aggiunto qualcosa di nuovo da far compiere a questo personaggio, sempre più umano e sempre meno virtuale agli occhi degli ammiratori. In Tomb Raider II Lara potrà scalare alcune pareti ed effettuare un balzo acrobatico all’indietro, che la porterà a guardare ciò che prima era alle sue spalle.

Nonostante la clamorosa esclusione del Sega Saturn a favore della più gettonata Sony Playstation, il successo commerciale e critico di Tomb Raider II resta indiscusso. Le vendite di questo sequel superano di gran lunga quelle di Tomb Raider e confermano che Lara Croft è la nuova regina del nostro passatempo preferito.

Nel 1999, i fortunati possessori di un computer vengono premiati da una versione “Gold” di Tomb Raider II, che racchiude in sé dei livelli aggiuntivi ed un’avventura inedita, del tutto slegata dalla trama del gioco originale. Questa avventura si chiama “The Golden Mask” ed è ambientata in Alaska e nello stretto di Bering. La bella archeologa è del tutto intenzionata a ritrovare la famosa “Maschera d’Oro di Tornasuk”, leggendario spirito dai poteri miracolosi che annoveravano anche la resurrezione, per merito della maschera.

Il meteorite antartico e gli artefatti del potere

 

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A cadenza annuale Lara Croft si presenta sugli scaffali dei negozi per la gioia di tutti i suoi ammiratori e per la curiosità di critici e detrattori. Siamo arrivati al 1998, è il terzo anno che Lara irrompe sulla scena e ripete un successo insperato.

Questa volta la nostra archeologa preferita sarà impegnata in una funambolica corsa contro il tempo e contro avversari davvero agguerriti. Lara viene assoldata dal viscido dott. Willard per recuperare tre artefatti apparentemente scollegati tra loro: uno giace in un isola del Pacifico, difeso da una divinità che di pacifico ha ben poco; uno in Nevada, nella famosa Area 51, protetta da una legione di soldati; uno a Londra, nella casa di Sophia Leigh, una magnate dell’industria farmaceutica, che non si fa scrupoli nel condurre esperimenti sugli esseri umani, nel creare mutanti assetati di sangue e nello scatenarli contro la bella Lara. A questi deve essere aggiunto un quarto artefatto, chiamato “Infada Stone”, e trovato da Lara in India prima che il dott. Willard la assoldasse per recuperare gli altri reperti.

Anche se il videogioco riesce a ripetere il successo degli anni passati, qualcosa comincia a venire a galla. Il gameplay è rimasto sostanzialmente identico, l’unica novità/varietà è portata dalle poche mosse che Lara “impara” di anno in anno, dalle armi più o meno inedite che la nuova avventura porta con sé e dai livelli da esplorare: il minimo indispensabile quindi. In questo nuovo episodio, Lara ottiene la capacità di effettuare uno scatto bruciante, utile per liberarsi dalle situazioni più incandescenti e per rubare il tempo a porte antiche, lontane e con il pessimo difetto di chiudersi pochi secondi dopo essere state aperte. Altre nuove mosse di Lara riguardano la posizione accovacciata, l’incedere a carponi, lo sfruttare cavi e pali arrampicandosi o spostandosi su di essi.

L’acqua diventa un elemento di esplorazione irrinunciabile ma anche terribilmente pericoloso: senza l’aiuto di un kayak, Lara non potrà superare alcuni punti in cui le correnti sono impossibili da guadare; in altre parti saranno presenti dei piranha, i letali pesci carnivori che possono solo essere evitati, non uccisi.

L’artefatto perduto

Sempre in esclusiva, per i possessori di Pc, Core Design ha sviluppato un mini-sequel di Tomb Raider III, chiamato semplicemente Tomb Raider III: The Lost Arctifact. In questa avventura, Lara riprende le ricerche là dove si erano interrotte in Tomb Raider III, dopo aver ucciso il boss finale (il dott. Willard). Lara andrà ad investigare prima di tutto a casa del dottore, poi a Dover, nei pressi della diga, e infine a Parigi, dove incontrerà nuovamente Sophia Leigh, del tutto intenzionata a vendicarsi. Tutto ciò per trovare il misterioso “quinto artefatto”, di cui ignorava l’esistenza anche Willard.

The Last Revelation

Il quarto capitolo delle avventure di Lara Croft arriva nel 1999 e da subito molti lo acclamano come il miglior titolo uscito fino ad allora. La nostra amata eroina appare ancora più umana e credibile, grazie ad un leggero lifting alle forme. Un buon lavoro, comunque, è stato fatto anche in sede di animazioni, sonoro e costruzione dei livelli. Questi, sebbene ormai portino l’annoso problema di essere troppo legati ad uno schema “cubico”, sono talmente ben fatti da far passare il difetto in secondo piano.

Il gioco ha inizio nel 1984 e pone il giocatore davanti una Lara Croft appena quattordicenne. E’ la prima volta dopo quattro titoli, che i videogiocatori apprendono qualcosa del misterioso passato di Lara. Guidata dal suo mentore Werner Von Croy, la teen-ager deve farsi strada in un antico tempio della Cambodia per ritrovare un misterioso manufatto di nome Iris. Purtroppo le cose non vanno come previsto, Lara sarà costretta ad abbandonare Von Croy nei pressi del tempio in cui erano andati a fare le ricerche, perdendo così ogni traccia del suo maestro e considerandolo morto.

L’azione, poi, si sposta ai giorni nostri: Lara si trova in Egitto, alla ricerca dell’Amuleto di Horus che si trova nella Tomba del dio Seth. Purtroppo il ritrovamento non sortisce gli effetti sperati, perché l’Amuleto di Horus teneva Seth nella sua eterna prigione. Venuto a mancare quello, di conseguenza, il dio egizio della distruzione si ritrova libero dalle catene che lo opprimevano.

In una disperata corsa contro il tempo, Lara dovrà avventurarsi presso i maggiori siti archeologici d’Egitto, assemblare la leggendaria “armatura di Horus” e unirla all’amuleto per portare Seth alla sua condizione originaria. Tra il dire e il fare, però, sappiamo bene cosa passa, e purtroppo lo viene a sapere anche Lara, che conclude la sua avventura nel più tragico dei modi possibili.

Tomb Raider: The Last Revelation porta con sé alcune novità ad uno schema di gioco che rischiava di essere più dannoso che altro. Eccezion fatta per il flashback iniziale, tutto il gioco è ambientato in un solo Paese, l’Egitto. Alcuni livelli sono “aperti”, nel senso che sono liberamente affrontabili nell’ordine che si preferisce. Vi è anche la possibilità di tornare indietro, sui propri passi, e cambiare livello.

Le nuove mosse di Lara riguardano la capacità di sfruttare liane e corde per raggiungere punti altrimenti irraggiungibili. Quando si tiene ad una corda, Lara ha anche la facoltà di scalarla o di scivolare in basso per ridurre altezze altrimenti fatali.

L’inventario, ricorda parecchio quello di Silent Hill: gli oggetti vengono disposti su una linea, non più in circolo e il giocatore ha la possibilità di combinarli tra loro per ottenere oggetti particolari, utili per proseguire nell’avventura.

Tra le armi inedite troviamo un potente revolver ed una balestra. Questi possono essere potenziati con la presenza di un mirino laser, che ne aumenterà a dismisura la precisione.

Il titolo è talmente ben realizzato e strutturato, che qualcuno ha gridato al miracolo. E’ davvero raro giungere al quarto titolo di una serie di videogiochi e stupire la platea con alcune interessanti novità, tali da eclissare, in tutto o in parte i predecessori.

La tragica fine di Lara Croft non fa sperare niente di buono. Il nuovo millennio stava per cominciare, eppure a molti è sembrato che le avventure di miss Croft, dopo quattro anni di successi, fossero ormai finite: Lara Croft aveva fatto il suo tempo?

Tomb Raider Chronicles

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Nell’anno 2000, per la gioia di tutti gli ammiratori dei titoli targati Core Design e Eidos Interactive, arriva sugli scaffali Tomb Raider Chronicles. Legato a doppio filo dalla tragica conclusione dell’episodio precedente, il titolo in questione comincia nella enorme villa vittoriana di Lara Croft, dove si sono appena concluse le onoranze funebri per la giovane avventuriera. Considerato che dopo l’incidente in Egitto, Lara non ha più dato sue notizie ai suoi più cari amici, questi la considerano ormai defunta, pur non avendo uno straccio di prova. Così si ritrovano in un salotto, a rievocare le splendide avventure dell’altrettanto splendida archeologa.

In questo lungo flashback, il giocatore è chiamato a guidare Lara attraverso siti archeologici sparsi un po’ ovunque per il mondo. La signorina Croft andrà a caccia della Pietra Filosofale, che a quanto pare giace a Roma, poi sarà il turno della “Lancia del Destino” che sembra trovarsi a largo delle coste russe. Per ritrovare una volta e per tutte la Iris, che Von Croy le aveva sottratto, Lara dovrà prima recarsi in Irlanda, e poi fare irruzione in un ufficio di un complesso ultra-tecnologico. La storia si conclude mentre lo stesso Werner Von Croy effettua degli scavi nei pressi dove Lara sembra essere scomparsa per sempre.

Le uniche novità da segnalare, per questo quinto episodio, sono: la capacità di aggrapparsi e muoversi lungo le sporgenze e camminare in equilibrio sulle corde. Sono sparite molte delle armi che avevano accompagnato la bella archeologa in giro per il mondo, ma sono tornate la carabina Mp5 e il revolver. Fa la sua prima apparizione il rampino, che diverrà famoso solo in seguito.

Impietosamente, però, il pubblico e soprattutto la critica, si sono scatenati per condannare un videogioco che non sembra più capace di innovarsi. Di fatto, sembra di giocare ad un gioco “vecchio”, ormai obsoleto e incapace di stare al passo con i tempi.

L’ultimo volo dell’angelo dell’oscurità

Dopo tre anni di silenzio e gestazione, dal primo annuncio di un nuovo Tomb Raider – il sesto in ordine di apparizione – una nuova febbrile attesa si accumulò intorno al ritorno di Lara Croft. Doveva essere il gioco del riscatto, il titolo dell’innovazione e della rivincita, su critica e pubblico. Core Design aveva dichiarato che Tomb Raider: The Angel of Darkness avrebbe portato in auge Lara, praticamente con la stessa forza del primo ed eccelso titolo.

La storia è ben narrata, aumentando considerevolmente la tensione, il mistero, “il thrilling”di tutta la vicenda che ha preso piede da “The Last Revelation”. Questa volta, Lara dovrà farsi strada tra le strade di Praga e Parigi alla ricerca di due preziosi dipinti. Questi fanno parte di un particolare processo mistico di biblica memoria, che serve per completare la resurrezione di un Nephilim, un angelo della distruzione e dell’oscurità, che viene legato all’animo di un uomo garantendogli infiniti poteri e vita eterna.

Quest’ultimo capitolo delle avventure di Lara Croft, giunto nel 2003, porta con sé molte novità ma altrettanti problemi, tanto annosi quanto intollerabili.

Lara, questa volta affronterà trentuno livelli, le sue abilità adesso annoverano: disarmare l’avversario, nascondersi, combattere a mani nude e fare un salto “super” unendolo allo storico “sprint” di Tomb Raider 3. Come in un gioco di ruolo, Lara dovrà acquisire un certo quantitativo di forza, prima di procedere nell’avventura. E a proposito di gioco di ruolo, gran parte del tempo sarà dedicata ai dialoghi e alla risoluzione dei puzzle, decisamente in contro-tendenza rispetto alle ultime uscite di miss Croft. Lara può rispondere educatamente, sgarbatamente o con provocazioni. La maniera di rispondere cambia solo il sentiero che intraprenderà Lara per raggiungerne la conclusione.

Sulla carta l’ultima fatica di Core Design sembra rompere gli indugi e proporre un gioco fresco e piacevole, da giocare tutto d’un fiato. In realtà la realizzazione tecnica non è all’altezza della storia e delle novità portate da questo gioco. Il gioco è ancora e pesantemente legato ad una struttura “cubica” dei livelli. Il numero impressionante di bugs, difetti di programmazione macroscopici e una persistente instabilità del gioco, lo hanno condannato ad una impietosa etichetta: uno dei giochi peggiori di sempre.

Tomb Raider: Angel of Darkness è il punto più basso di una parabola discendente che ha subito la serie di Tomb Raider. La piccola evoluzione portata dai primi tre capitoli, d’un tratto è divenuta involuzione e incapacità di rinnovarsi, portando infine difetti così corposi ed evidenti da pregiudicare qualsiasi esperienza di gioco.

Conclusioni

Dal mitico Tomb Raider II al controverso Angel of Darkness, la serie Tomb Raider al principio è riuscita a bissare il successo del primo, storico, titolo e ha elevato Lara Croft a star indiscussa al pari di celebrità in carne ed ossa. Già dal quarto episodio, però, i più attenti cominciarono a sentire un cattivo odore di “già visto” e scarsa innovazione di fondo. Gli ultimi due capitoli, invece, hanno malcelato una povertà di evoluzione tale, da essere considerati “giochi vecchi” fin dalla loro apparizione sugli scaffali.

Tutto sommato, la serie di Tomb Raider è stata premiata come uno dei successi di vendite più grandi della storia del videogioco, con i suoi trentacinque milioni di pezzi venduti. Il fallimento dell’ultimo episodio ha però condannato Core Design ad una morte prematura, a cui è corrisposta la morte videoludica di Lara Croft. Solo alcuni hanno più tardi si è assistito ad un’insperata resurrezione della famosa eroina, come una fenice è tornata alla ribalta grazie agli sforzi di Cristal Dynamics.

Parte I

Parte III

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